“La Fondazione Migrantes è l’organismo costituito dalla Conferenza Episcopale Italiana per accompagnare e sostenere le Chiese particolari nella conoscenza, nell’opera di evangelizzazione e nella cura pastorale dei migranti, italiani e stranieri, per promuovere nelle comunità cristiane atteggiamenti e opere di fraterna accoglienza nei loro riguardi, per stimolare nella società civile la comprensione e la valorizzazione della loro identità in un clima di pacifica convivenza, con l’attenzione alla tutela dei diritti della persona e della famiglia migrante e alla promozione della cittadinanza responsabile dei migranti”.
E’ questo il primo articolo dello statuto della Fondazione Migrantes, l’organismo promosso dalla Cei che dal 1987 opera al fianco dei migranti.
Ma oggi che il tema dell’immigrazione è più attuale che mai soprattutto in Europa, come si è evoluto il ruolo della Fondazione? Per scoprirlo abbiamo intervistato monsignor Giancarlo Perego, direttore della Fondazione Migrantes.
Di seguito il testo dell’intervista-video.
Il tema dell’accoglienza dei migranti è di estrema attualità. Ma voi già da anni siete in prima linea per fronteggiare le emergenze. Come è cambiato nel tempo il vostro operato?
In questi anni l’immigrazione ha avuto due volti per quanto riguarda il nostro Paese, l’Italia. Un primo volto che è cresciuto in questi 25 anni che è il volto di una migrazione economica richiesta anche dal mondo dell’impresa, dell’industria, dei servizi in Italia. Cinque milioni di persone sono arrivate in Italia e oggi costituiscono un grande patrimonio in diversi luoghi fondamentali della vita delle nostre città. Due milioni e mezzo di lavoratori, 350 mila imprese, 1 milione 800 mila famiglie, di cui 400 mila famiglie miste, 800 mila studenti, 650 mila persone che sono diventate cittadini italiani, 1 milione e 200 mila bambini, ragazzi, giovani. Questo mondo ha cambiato i volti fondamentali della nostra vita. Nelle nostre famiglie sono entrate un milione e mezzo di badanti. Nelle diverse fabbriche, in alcuni comparti, ormai il 35-40% di persone lavoratrici, come nei servizi alla persona, nei servizi turistici o in agricoltura, in edilizia, sono stranieri. Tante scuole sono state salvate grazie a questo mondo di persone. E questo mondo tante volte non fa notizia. Fanno notizia soprattutto, come abbiamo visto da una ricerca de La Sapienza, i 15 mila stranieri in carcere, a cui si dedicano un milione e mezzo di articoli nei quotidiani in un anno, e non fanno notizie questi 5 milioni. E non facendo notizia, tante volte anche i percorsi di inclusione sociale, di integrazione faticano a procedere. Se pensiamo soltanto che la legge sulla cittadinanza che dovrebbe ampliare lo ius soli è ancora ferma al Senato perché si aspetta il dopo elezione. Se si pensa che ancora il voto aministrativo agli immigrati non è possibile, mentre in tanti altri Paesi è possibile. C’è una partecipazione esclusa sul piano sociale e politico. Se si pensa che il servizio civile degli immigrati è stato reso possibile solo grazie a una sentenza della Corte Costituzionale, perché li si escludeva in un percorso che era normale. Questo significa che i percorsi di inclusione e integrazione sono ancora deboli, e su questo occorre lavorare, e su questo il Terzo settore e il volontariato hanno un ruolo fondamentale, una nuova frontiera su cui lavorare. Accanto però a questo mondo, che di fatto è accolto dentro le nostre città, anche se deboli sono ancora questi percorsi di inclusione e di integrazione, c’è un altro mondo, un piccolo mondo di 110 mila persone oggi che sono arrivate in Italia attraverso questi sbarchi, in questi ultimi due anni di 350 mila persone. Centodieci mila persone che sono però migranti forzati, richiedenti asilo. Ed è su queste persone che ancora una volta oggi noi gridiamo all’emergenza, gridiamo all’impossibilità dell’accoglienza. Come è possibile che 8.000 comuni in Italia non possono accogliere 100 mila persone, cioè 10 persone a testa. Come è possibile che in un’Italia che accoglie 40 milioni di turisti ogni anno non avere la capacità di accoglienza di 100 mila persone. Come è possibile che un’Italia che lo scorso anno ha perso 110 mila giovani che sono andati all’estero non si accorga che ha bisogno di questi 100 mila giovani che vengono da 65 nazionalità diverse, in fuga da 33 guerre, da disastri ambientali, da persecuzioni politiche e religiose. Oggi dobbiamo fare, anche come volontariato, cultura vera su questi numeri e su questa realtà. Perché l’accoglienza di un richiedente asilo, di un rifugiato, è un tassello di una democrazia matura, è un elemento fondamentale di una democrazia italiana ed europea. E su questo, oggi, la democrazia in Europa sta cadendo perché ha voltuto delocalizzare la protezione internazionale in Turchia, in un Paese che non ha firmato neanche l’Accordo di Ginevra, dando 6 miliardi di euro che invece potevano essere 6 miliardi di euro spesi per migliorare le strutture dell’accoglienza dei richiedenti asilo nei diversi contesti europei. Dimenticando invece che l’accoglienza diventa un tassello fondamentale di protezione internazionale, di chi chiede protezione sociale. E’ un tassello fondamentale per il cammino stesso dell’Europa. Nel ’54 De Gasperi in un bellissimo discorso sulla nostra patria Europa, disse che l’Europa sarà tale non quando avrà la moneta unica, quando avrà un unico sistema economico, finanziario, ma quando avrà un unico sistema di giustizia sociale. Oggi stiamo rinuciando a questo tassello che invece è importante. E l’accoglienza in questo percorso diventa una cartina al tornasole di quale percorso europeo che stiamo facendo.
Qual è la sfida che la Fondazione Migrantes si trova a dover affrontare nell’immediato?
Un primo aspetto importante, come sfida, è l’informazione. L’informazione oggi è viziata da luoghi comuni. Come dicevo prima un milione e mezzo di articoli di giornali che coniuga la parola migrante con la parola clandistino, criminale, irregolare, e non con la parola madre, padre, giovane, lavoratore, studente, rifugiato. La prima sfida importante è questa. La seconda sfida è quella di allargare l’accoglienza. Un’accoglienza diffusa dentro le nostre realtà. Favorire anche nelle realtà ecclesiali che oggi accolgono 22 mila e 600 persone, favorire ancora di più questa condivisione di beni. Che una persona possa ricostruirsi la vita, la casa, la famiglia, dopo che ha perso tutto. Una terza sfida è quella dell’inclusione. Fare in modo che le persone non siano ai margini della città, ma siano dentro la città, un valore aggiunto della città attraverso quei percorsi che sono di partecipazione sociale, di partecipazione politica, di valorizzazione delle risorse, dei titoli delle persone, che oggi invece tante volte non vengono valorizzati. Un altro percorso è quello del ricongiungimento familiare. Purtroppo l’Italia è ancora all’ultimo posto in Europa per i tempi di ricongiungimento familiare, pari a 8 anni. Come è possibile pensare che una moglie sia lontana da un marito 8 anni, che dei figli siano lontani dalla propria madre e dal proprio padre 8 anni. Con una crescita poi, abbiamo visto in una ricerca che abbiamo fatto, di suicidi tra i ragazzi in Romaniae in Ucraiana da dove vengono molte badanti delle nostre famiglie. Questo tema del ricongiungimento familiare, che è stata una battaglia per la nostra immigrazione italiana all’estero, deve essere la stessa battaglia che facciamo anche per i migranti. L’ultimo percorso è certamente quello dell’integrazione, un percorso biunivoco, che significa non soltanto che loro devono sapere, imparare. Ma insieme dobbiamo costruire qualcosa di nuovo che valorizzi cultura, lingua, religione anche di altri Paesi. In una cultura dell’incontro – ha usato questa parola il Papa parlando a Prato che una delle città più multietniche d’Italia – una cultura dell’incontro che veramente è la cifra su cui costruire il nostro lavoro di domani come Fondazione Migrantes.
C’è un episodio, nel suo percorso all’interno della Fondazione, che ricorda con maggiore emozione?
Quando una mattina sulla posta elettronica ho trovato una email dicendo “Conosciamo la Fondazione Migrantes”. A scrivere erano due siriani, marito e moglie, “abbiamo perso i nostri figli sotto le bombe, potete accoglierci?”. E’ stato un momento emozionante, proprio per costruire e continuare questo cammino di accoglienza.
Avete accolto questa coppia?
Abbiamo accolto queste persone che oggi sono negli Stati Uniti. E quindi hanno fatto della nostra accoglienza un momento importante per continuare un viaggio verso altre comunità, altri familiari che avevano.
Qual è il fattore più importante per il raggiungimento della felicità pubblica?
La felicità è una parola che, soprattutto quando è scoppiata della Rivoluzione Francese, noi troviamo in tutti i diari, i cahiers de doleance, dei parroci francesi che avevano coniato questi tre termini: uguaglianza, libertà e fraternità. Ritenendo che questi tre termini erano la condizione importante su cui costruire la felicità. La democrazia ha camminato sulla libertà e sull’uguaglianza, ma la fraternità oggi è il tassello che manca per costruire la felicità. Quando riesci a riconoscere nell’altro, che viene da 194 nazionalità diverse, come coloro che sono arrivati in Italia, un fratello e quindi non soltanto una persona, un numero, un altro senza nome, senza volto e senza storia, ma una persona che ti è familiare. La felicità si raggiunge quando la fraternità veramente abita nelle nostre città.