Ieri si è celebrata la Giornata mondiale del morbo di Parkinson, il cui obiettivo ogni anno, è quello di sensibilizzare l’opinione pubblica, accrescendo al contempo la consapevolezza sulla malattia.
Per quanto riguarda le cifre, le notizie non sono buone ad oggi: solo in Europa, infatti, la patologia coinvolge 1,2 miliardi di persone e in Italia ogni anno sono in 6.000 a contrarre il morbo. Di questi 1 su 5 si ammala prima dei 50 anni, sfatando di conseguenza il mito che il Parkinson sia una malattia senile.
L’Epda (European Parkinson’s Disease Association) stima che la cifra dei malati è destinata ad aumentare, fino forse a raddoppiare entro il 2030. Un sondaggio condotto qualche anno fa dalla stessa associazione pone in evidenza come, in generale, il livello di consapevolezza e di informazioni sul Parkinson sia molto basso tra le persone; una su cinque è infatti all’oscuro che si tratti di una condizione neurologica che incide sul movimento, e il 75% non sa che la sintomatologia più importante manifestata da chi ne viene colpito, è determinata dall’impossibilità di muovere alcune parti del corpo.
Di qui il senso della giornata di ieri, ovvero creare consapevolezza intorno all’argomento. Ma c’è dell’altro: Parkinson Italia (Confederazione associazioni italiane Parkinson e parkinsoniani) rende noto che in Italia 2 milioni di persone sono costrette a confrontarsi ogni giorno con l’irreperibilità di moltissimi farmaci utili nella gestione della malattia, per via di difficoltà di produzione, distribuzione e per lo scarso guadagno delle case farmaceutiche.
Lo sa molto bene anche l’Aifa (Agenzia italiana del farmaco) che a cadenza annuale pubblica un report in cui sono indicate le mancanze e le carenze per ogni tipo di patologia. In tale documento, datato 29 febbraio corrente anno, i farmaci “fantasma” sono circa 1.200. Di conseguenza l’Aifa, pur parlando di evidenti problemi di produzione e difficoltà distributive, denuncia: «Ci sono scelte aziendali legate allo scarso prezzo di vecchi medicinali, che anche se molto usati non fanno guadagnare e sono abbandonati».
Inoltre, non va dimenticata la questione legata alla cosiddetta “esportazione parallela”, vale a dire quella pratica eticamente discutibile che di fatto consente di rivendere i farmaci in Paesi che pagano meglio di quanto faccia l’Italia.