15 novembre 1917 – A Parigi si spegne uno dei più autorevoli pensatori delle scienze umane, Émile Durkheim. Certamente oggi la sociologia non sarebbe la stessa senza il suo prezioso contributo, a cominciare proprio dalla concezione della disciplina a cui egli attribuisce lo scopo di studiare – attraverso un metodo rigorosamente scientifico – le organizzazioni sociali e i fenomeni che determinano determinati comportamenti.
Per Durkheim la sociologia deve occuparsi essenzialmente dei fatti sociali, dunque, analizzandoli come dati esterni e indipendenti rispetto agli individui. Sulla base di questo principio sono di grande importanza i suoi studi sul suicidio. Sebbene, in apparenza, il fenomeno possa dare l’impressione di apparire come atto puramente soggettivo – e dunque imputabile all’infelicità personale – Durkheim dimostra come esistano fattori sociali in grado di rompere gli equilibri delle comunità sconvolgendone i valori.
Lo studioso identifica tre tipologie di suicidio che apriranno la strada agli studi successivi: il suicidio egoistico, legato a una mancata integrazione sociale; quello altruistico, che si verifica quando la correlazione tra l’individuo e il mondo circostante non ha confini ben delineati e, infine, il suicidio anomico, tuttora materia di studio, sembra collegare il tasso dei suicidi con il ciclo economico. Quest’ultimo è di grandissima importanza, in quanto ancora prassi della società moderna. È un fatto che il tasso dei suicidi abbia una stretta correlazione con i cicli economici, ed è ancora un fatto che coerentemente con i picchi massimi di depressione economica il numero di chi ricorre a gesti estremi aumenti vertiginosamente. Basti pensare alla crisi americana del ’29 o alla più recente crisi del 2008.