La ‘ndrangheta è ovunque, fin dentro le istituzioni ed è «presente in tutti i settori nevralgici della politica, dell’amministrazione pubblica e dell’economia, creando le condizioni per un arricchimento, non più solo attraverso le tradizionali attività illecite del traffico internazionale di stupefacenti e delle estorsioni, ma anche intercettando, attraverso prestanome o imprenditori di riferimento, importanti flussi economici pubblici ad ogni livello, comunale, regionale, statale ed europeo». Si tratta di un estratto della relazione di Franco Roberti, procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, intervenuto nell’annuale relazione della Dna (Direzione nazionale antimafia).
Un resoconto che molti probabilmente si aspettavano ma che certamente spaventa, dal momento che la ‘ndrangheta non si limita ad esercitare il controllo entro i confini italiani ma allarga il suo business del malaffare negli Stati Uniti, in Canada e in Australia. Senza contare i rapporti con il Sud America legati alla gestione del traffico internazionale degli stupefacenti, in modo particolare la cocaina, mercato per il quale l’organizzazione mafiosa ha praticamente il controllo su tutta l’Europa.
Le regioni in cui la ‘ndrangheta muove i passi più dannosi sono quelle del Nord Italia e in particolare il Veneto, il Friuli Venezia Giulia e la Toscana, «territori in cui l’organizzazione criminale reinveste i cospicui proventi della propria variegata attività criminosa, nel settore immobiliare o attraverso operatori economici, talvolta veri e propri prestanome di esponenti apicali delle diverse famiglie calabresi, talaltra in stretti rapporti con esse, al punto da mettere la propria impresa al servizio delle stesse», ci informa la relazione.
In Valle d’Aosta, Piemonte, Lombardia, Liguria, Emilia Romagna e Umbria invece la ‘ndrangheta ha ormai trovato casa, per così dire, con una permanenza stabile e addirittura costringendo alla ritirata altre organizzazioni criminali, così come è accaduto in Piemonte con le famiglie catanesi di Cosa Nostra.
Particolare attenzione, secondo la relazione della Dna, va riservata a Paolo Romeo, figuro considerato come il vero cuore pulsante della malavita organizzata, «che le diverse indagini hanno delineato quale appartenente al mondo massonico e, al contempo, uomo di vertice dell’associazione criminale, dei cui interessi è portatore, nel mondo imprenditoriale ed in quello politico, ruolo svolto con accanto personaggi che sono sostanzialmente gli stessi quantomeno dal 2002, dunque da circa 15 anni, senza dimenticare i suoi antichi e ben solidi rapporti con la destra estrema ed eversiva, nel cui contesto, verso la fine degli anni ‘70, ebbe modo di occuparsi della latitanza di Franco Freda, imputato a Catanzaro nel processo per la strage di piazza Fontana».
Di qui, leggiamo ancora nella relazione, «si spiega come sia stato gestito il potere , quello vero, quello reale, quello che decide chi, in un certo contesto territoriale, diventerà sindaco, consigliere o assessore comunale, consigliere o assessore regionale e addirittura parlamentare nazionale od europeo. Sono stati, invero, Romeo e De Stefano a pianificare, fin nei minimi dettagli, l’ascesa politica di Alberto Sarra, consigliere regionale nel 2002 – subentrando a Giuseppe Scopelliti, fatto eleggere Sindaco di Reggio Calabria».
Non poteva mancare un focus sull’ormai storico latitante Matteo Messina Denaro, capo-clan della mafia trapanese che esercita un controllo capillare che va ben oltre i territori siciliani. La sua cattura è una priorità, al di là di ciò che potrebbe rappresentare l’arresto del criminale, ma soprattutto per assestare un duro colpo a tutta l’organizzazione mafiosa.