«È in me e in me soltanto che i miei genitori mescolano una volta per tutte, dolcemente, acidamente, a partire da zuccheri e fosfati di colonne vertebrali separate, secondo la ricetta base che fa di me, me stesso».
Dal guscio, ventre materno, ecco il protagonista del nuovo romanzo di Ian McEwan (Einaudi, 2017) che partorisce – è proprio il caso di dirlo – un’opera originalissima e al tempo stesso divenuta ormai quasi obbligatoria per i più grandi narratori inglesi, cioè confrontarsi con l’Amleto del ventunesimo secolo. Diciamo subito che non c’è ragione di spaventarsi di fronte a questo libro, non è inaffrontabile per nessuno benché McEwan – qualcuno lo ricorderà per aver scritto “Espiazione” di cui l’omonimo film sancì l’entrata nell’Olimpo dei grandi – sia uno di quegli autori abituati a non giungere a compromessi con il linguaggio. Se la frase viene facile, bene. Altrimenti amen.
Ma “Nel guscio” è un romanzo senza intoppi che scorre con una certa velocità – del resto le pagine sono 200, non tante – rese ancora più scorrevoli da elementi “thriller” che incoraggiano a non lasciare il libro troppo a lungo sul comodino.
La voce narrante del romanzo è un bambino in attesa di venire al mondo che si muove a testa in giù e percepisce la realtà circostante protetto dal rassicurante liquido amniotico. In un alternarsi di odori, rigurgiti, miasmi, frasi captate dalla madre Trudy, dall’amante di quest’ultima, zio Claude, il padre biologico John, è praticamente l’Amleto shakespeariano testimone involontario di un perfido piano ai danni di John, il criptico padre poeta.
Accanto alla vicenda narrativa, i temi – ancora shakespeariani e pertanto attualissimi – dell’essere o non essere e, a questo punto, del nascere o non nascere per far parte di un mondo in cui dominano incontrastati corruzione, violenza, analfabetismo emotivo. E poi tutta la crudezza della vita, così com’è e appare, ascoltata attraverso la radio che la madre Trudy ascolta spesso. Così, dal guscio, le considerazioni su un mondo difficile da comprendere, dilaniato dalle guerre, dal fondamentalismo islamico che mira a conquistare l’Europa, dalle manovre finanziarie dei potenti che riducono alla fame i più deboli; e poi i nazionalismi, la disoccupazione, le crisi economiche e sociali, la deforestazione, l’aria contaminata che respiriamo. «La vecchia Europa si gioca a testa o croce i propri sogni, incerta fra paura e compassione, fra accoglienza e rifiuto», dice il nostro protagonista. Allo stesso tempo, però, quella che potremmo definire la tentazione di esistere: «Quello che mi spaventa è perdermi qualcosa. Che si tratti di un sano desiderio o di mera ingordigia, prima voglio la mia vita, quanto mi è dovuto, la mia infinitesimale fettina di eternità e una discreta opportunità di coscienza».
E allora, cosa fare? Uscire o no dal guscio? E a quali condizioni, soprattutto, mentre Trudy e il suo amante ne combinano così tante, ma così tante, da creare nel feto-filosofo montagne di dubbi che si sommano a dubbi. Cosa alla fine deciderà di fare il nostro piccolo eroe lo scoprirete solo leggendo il libro.
Certo è che Ian McEwan è sopraffino, fin da subito è evidente il compito che affida alla letteratura, ricreare la parvenza di un ordine in un mondo dominato dal caos.
Poi, e non poteva mancare, l’eterno tema odio-amore nei confronti di una madre che non è certo una santa ma è sua madre e comunque l’unica possibilità di venire al mondo, qualora volesse: «L’amore per mia madre è direttamente proporzionale all’odio che le porto».
Sarcasmo, ironia, impennate riflessive e pagine di spietato realismo, neanche l’autore avesse in mano un pennello per fare un ritratto notevole del mondo che abitiamo. La scrittura di Ian McEwan, come dicevamo all’inizio, è sicuramente ricercata ed elegante tra giochi sintattici, metafore sapienti, punteggiatura mai casuale, pur non essendo inaffrontabile. Una forma linguistica interessante che è l’abito di contenuti multipli e attuali dai quali è impossibile fuggire, sui quali viene spontaneo riflettere, dal senso della famiglia al significato del tradimento sotto i suoi più svariati aspetti, le forme di egoismo e il rapporto figliale. Da intimistico a globale, un tutt’uno. Tanta carne al fuoco, sicuramente. E forse questo a non tutti piacerà ma, d’altronde, leggere romanzi non è certo il modo migliore per risolvere i nostri dubbi. Forse è invece quello ideale per generarne degli altri, destinati a scatenare una cascata di riflessioni che – quelle sì – i grandi libri sanno proporci.