In Italia la mensa non è presente in tutte le scuole del territorio. Questo è quanto emerge dall’ultimo rapporto di Save the Children “(Non)Tutti a mensa!” secondo il quale il 40% degli istituti scolastici principali ne è sprovvisto; percentuale che sale in Puglia (53%), Campania (51%) e Sicilia (49%), mentre al Nord la mensa manca in un terzo delle scuole. Ma anche laddove c’è, il servizio presenta grandi differenze sia per ciò che riguarda i criteri di accesso sia per la qualità.
Il nuovo rapporto prende in esame le mense delle scuole primarie nei 45 comuni capoluogo di provincia con più di 100mila abitanti. In più della metà dei comuni monitorati, l’accesso a rette agevolate e a riduzioni è limitato ai soli residenti. In sei comuni non è prevista esenzione dal pagamento neanche per le famiglie più povere e otto comuni escludono il bambino dal servizio in caso di insolvenza dei genitori. Per quanto riguarda la qualità delle mense, nel 90% dei casi il servizio è affidato a ditte esterne di ristorazione e per il 65% è effettuato esclusivamente con pasti trasportati da cucine esterne.
Nello specifico, le tariffe applicate nei 45 comuni monitorati variano notevolmente, con rette minime che vanno dagli 0,35 euro al giorno di Salerno ai 5,5 di Bergamo e tariffe massime che vanno dai 2,3 euro di Catania ai 7,7 euro di Ferrara; 15 i comuni che superano la soglia di 5 euro per pasto, con Palermo che, nonostante abbia un basso costo della vita e uno dei tassi di disoccupazione più alti d’Italia, ha una tariffa di 6 euro a pasto. Tariffe ridotte sono previste in tutti i comuni ma variano, da territorio a territorio, i criteri di accesso al beneficio: se infatti tutti prevedono riduzioni in base al valore Isee della famiglia, il 66% prevede particolari riduzioni per nuclei familiari numerosi e il 25% garantisce la riduzione delle tariffe in casi di disoccupazione o cambiamenti della situazione economica della famiglia. Per quanto riguarda, invece, le prassi adottate in caso di genitori morosi nei pagamenti, 37 comuni su 45 affermano di non escludere il bambino dal servizio, mentre nei comuni di Brescia, Foggia, Modena, Novara, Palermo, Sassari, Salerno e Taranto in caso di morosità il bambino viene escluso dalla mensa.
In base al confronto dei principali dati, emergono, in conclusione, le migliori e peggiori prassi. In particolare i comuni di Cagliari, Forlì e Genova si segnalano per l’applicazione di criteri agevolativi in risposta alle esigenze di categorie più svantaggiate come ad esempio minori in affido temporaneo; quelli di Bari e Novara per la previsione di misure mirate al sostegno delle famiglie colpite dalla crisi economica, quale la perdita di lavoro; i comuni di Bologna, Firenze, Milano, Livorno, Taranto applicano criteri flessibili e passibili di modifica nel corso dell’anno per ciò che riguarda le tariffe.
Prassi invece particolarmente negative si rilevano a Brescia, che si distingue per le tariffe tra le più alte, per i criteri molto restrittivi delle esenzioni e per l’esclusione dei figli di genitori morosi; a Salerno che, pur non avendo tariffe particolarmente elevate, non è prevista nessuna forma di esenzione per le famiglie disagiate e sono esclusi i figli di genitori morosi; Bergamo, che ha tariffe molto alte per le famiglie con redditi bassi e prevede l’esenzione dal pagamento solo su richiesta diretta dei servizi sociali.