È stato Kazuo Ishiguro ad aggiudicarsi l’encomio più ambito dagli scrittori, il Premio Nobel per la Letteratura. Per chi non lo conoscesse stiamo parlando di un autore giapponese, naturalizzato britannico, che si è imposto al grande pubblico soprattutto grazie ai romanzi “Non lasciarmi” e “Quel che resta del giorno”, entrambi consacrati dal cinema hollywoodiano.
E dunque mentre erano in molti ad aspettarsi la definitiva consacrazione di Haruki Murakami, l’Accademia svedese dei Nobel ha spiazzato tutti con questa motivazione: «Nei suoi romanzi, dal grande potere emozionale, ha saputo rivelare l’abisso oltre il nostro illusorio senso di connessione con il mondo».
«Uno stile che è un mix fra Jane Austen e Franz Kafka a cui aggiungerei un po’ di Proust», ha commentato Sara Danius che è la segretaria permanente dell’Accademia. Una valutazione coraggiosa e tuttavia rispettabile, ma davvero molto coraggiosa in effetti.
Difficile che l’assegnazione di un Nobel per la Letteratura metta d’accordo tutti d’altronde, e sono davvero poche le volte in cui le critiche non sono piovute da ogni dove. Però questo Nobel il suo senso ce l’ha, a ben vedere e comincia con la storia dello stesso Ishiguro. Nato a Nagasaki, in Giappone, aveva appena 6 anni quando la famiglia si trasferì nel Regno Unito. Data anche solo questa premessa va da sé che i suoi romanzi esprimano una sorta di doppia identità. Guerra, memoria e radici sono i temi dei primi romanzi ad ambientazione giapponese, le atmosfere inglesi – vedi “Quel che resta del giorno” – dominano la seconda parte della sua produzione letteraria. Così, in forma di diario, troviamo un’elegia dell’amore-rinuncia affidata al maggiordomo (esiste una figura più inglese del maggiordomo?) che si muove nell’ambiente aristocratico inglese degli anni ’30 tra le insidie naziste che caratterizzarono l’Europa.
In questo senso capiamo meglio cosa volesse dire Sara Danius con il suo “mix” tra Austen, Kafka e Proust. Kazuo Ishiguro è insomma davvero “troppo” poliedrico, camaleontico, così incredibilmente difficile da incasellare dentro un genere preciso. Cambia scenari, ambientazioni, poetica, epoche storiche con estrema facilità e si dica pure che questa caratteristica è tipica dei grandi scrittori, al di là delle valutazioni personali che vanno certamente rispettate.
Ma superate queste considerazioni ce n’è un’altra sicuramente più importante: compito della letteratura è anche – e forse soprattutto – raccontare la realtà com’è e indurre a riflessione. Impossibile per un grande scrittore fuggire da temi come la guerra e la pace. Ishiguro ne ha parlato tanto e a lungo, e in questo senso è doveroso ricordare che è stato assegnato un altro Premio Nobel, quello per la pace. Se lo è aggiudicato Ican, la Campagna internazionale per l’abolizione delle armi nucleari che raccoglie oltre 440 gruppi di cento Paesi diversi. Oslo ha ragionevolmente pensato che, data la crisi nordcoreana in corso insieme alla delicata questione tra Teheran e Washington sul trattato nucleare iraniano, davvero bisognava lanciare un segnale importante.
E su questo punto le polemiche sono state molte, neanche la metà di quelle suscitate dal Nobel della Letteratura. Di fatto l’imbarazzo era palpabile, a cominciare dal silenzio dell’ex Nobel Aung San Suu Kyi sulla persecuzione dei rohingya in Myanmar, atteggiamento che ha scatenato una guerra dialettica tra Nobel. L’attivista pakistana Malala Yousafzai, il Dalai Lama e Desmond Tutu si sono letteralmente scatenati contro la “lady di Rangoon” accusata di non aver mosso un dito sulle violenze ai danni dei 500.000 rohingya.
Ma ci fosse stata solo la questione birmana sul tavolo, tutto sarebbe stato accompagnato da minori polemiche. C’era infatti anche la questione del dissidente cinese Liu Xiaobo, troppo ignorato dall’Occidente e di fatto morto in carcere, a luglio, dopo 11 anni di prigionia. L’opinione generale è che la Comunità internazionale, pur avendo assegnato all’attivista il Nobel nel 2010, non se la sentisse di entrare in conflitto diplomatico con Pechino.
Come si è comportata Oslo, insomma? Diplomatica? Frettolosa? Con buon senso? Certamente quest’anno ha vinto un tema popolare e comunque importante. La minaccia nucleare riguarda tutti e su questo punto non c’è davvero altro da aggiungere.