Il campo di sterminio di Auschwitz è davvero solo la “memoria”? È questo l’interrogativo che pone l’autore del libro Non c’è una fine, Piotr Cywinski, direttore del Memoriale e Museo di Auschwitz Birkenau (pubblicato in Italia da Bollati Boringhieri).
Questa la domanda a cui tenta di dare una risposta attraverso descrizioni, considerazioni e dubbi che portano a riflessioni, svelando con le proprie parole una profonda “pietas”, una compassione fatta del “patire con” e non solo commiserazione per vittime innocenti.
Il Memoriale di Auschwitz riceve ogni anno la visita di oltre un milione di persone che desiderano avere un contatto diretto – sia pure sbiadito nel tempo – con l’aberrazione dell’uomo sull’uomo, vedere con i propri occhi i luoghi dello sterminio di milioni di persone. “Non c’è una fine” cerca di trasmettere la memoria di qualcosa di indicibile, di incredibile, che pure è avvenuto e non deve assolutamente essere dimenticato.
Infatti Cywinski spiega come in quei luoghi toccati dall’orrore della morte di uomini, donne e bambini, non ci siano risposte, ma debbano sorgere invece altre domande perché il percorso di Auschwitz Birkenau non ha una fine ed è anzi ancora molto attuale.
Affermazione, se vogliamo, piuttosto dura ma assolutamente veritiera. Ci sono alcune riflessioni di tipo storico dell’autore che non possono non portare a parallelismi con quanto accade oggi, per esempio con i migranti. Scrive, infatti, come i campi di sterminio nazisti fossero posti ai confini e ai margini estremi di una regione o uno Stato per nascondere, almeno in parte, lo sterminio sistematico di ebrei, zingari, omosessuali e di tutti coloro invisi al regime. Non a caso, nel libro troviamo scritto: «I pochi Giusti tra le Nazioni che hanno salvato migliaia di vite, hanno rischiato molto più di quanto loro (i visitatori di oggi) rischierebbero se salvassero anche uno solo di quei bambini condannati alla morte per inedia o genocidio che osservano sugli schermi dei televisori, cenando». In “Non c’è una fine” più dei genocidi e delle tragedie umane, che sono molto differenti tra loro, è il silenzio assordante dei testimoni a parlare. Negli anni ’40 venne steso un velo a copertura dei massacri e successivamente fu costruito il Memoriale per non dimenticare. Forse tra 70 anni ci saranno musei e memoriali per il Vietnam, il Darfur o la Corea del Nord. E potremmo essere maledetti per il silenzio di oggi.
Non solo: secondo Cywinski l’Europa è stata riedificata sulle rovine di Auschwitz dal momento che, dopo la tragedia dei campi di sterminio, il Vecchio Continente avrebbe potuto appassire ripiegandosi su se stesso e dividersi maggiormente per diffidenza reciproca tra gli Stati. Invece da quella tragedia è nato, per fortuna, un nuovo progetto di Europa comune.
Ad Auschwitz l’Europa perse se stessa, come scrive l’autore, ma da Auschwitz si ritrovò. Perché il luogo è un ammonimento del passato e la sua memoria, per quanto dolorosa e complessa, è la strada per arrivare al futuro. Un libro che lascia il segno, che pone domande cui non dà risposte certe, ma che interloquisce con il lettore facendolo diventare protagonista e attore della memoria, affinché sia ancor più consapevole di quello che è stato, rifletta, e soprattutto volti le spalle all’orrore.