La notizia è del 19 luglio: è slittato l’esame in Senato del disegno di legge che introduce il reato di tortura. In realtà era previsto il ritorno del provvedimento in aula, ma Lega, Forza Italia e Conservatori e riformisti hanno chiesto la sospensione. Dopo aver sentito la Conferenza dei capigruppo il presidente del Senato Pietro Grasso ha sospeso l’esame rinviando il provvedimento in Commissione. Il Ministro Alfano ha dichiarato: «Molto saggia la decisione del Senato di sospendere la discussione sul ddl tortura e non perché siamo contrari nel merito alla introduzione di questo reato, ma perché non possono esserci equivoci sull’uso legittimo della forza da parte delle Forze di Polizia». Imbarazzato il Pd che ha accolto la richiesta per “realismo politico”; contrari al rinvio M5s e Sinistra Italiana.
Imbarazzante fare qualsiasi considerazione. Ci limitiamo a sottolineare che la discussione parlamentare è impantanata da anni tra ddl vari, discussioni inconcludenti, infiniti rinvii. Siamo al paradosso che l’Italia chiede all’Egitto di conoscere la verità sulle torture subìte da Giulio Regeni ma non è in grado di introdurre nel suo ordinamento il reato di tortura. Così facendo dimostriamo di non aver appreso nessuna lezione dai fatti della scuola Diaz durante il G8 di Genova 2001 né dai casi Uva, Aldrovandi, Cucchi. D’altra parte le argomentazioni usate dal Ministro Alfano sono sconcertanti e non fanno presagire niente di buono per il futuro.
Forse, per tutti, è il caso di riflettere sull’urgenza di una battaglia che non può più ammettere incertezze. Per questo proponiamo ai nostri lettori tre testi:
- l’appello inviato qualche giorno fa al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella da oltre 30 Garanti dei detenuti italiani;
- la presa di posizione del giugno scorso dell’ACAT – Azione dei cristiani per l’abolizione della tortura, accompagnata da una recente dichiarazione del presidente Conti
- la petizione di Ilaria Cucchi dello scorso aprile.
Appello di 30 Garanti dei detenuti italiani
“Incomprensibile e ingiustificabile è il rinvio in commissione del disegno di legge per l’introduzione del reato di tortura alla sua terza lettura parlamentare.
Facciamo appello al Presidente della Repubblica affinché faccia valere la sua autorevolezza e le sue responsabilità istituzionali nei confronti della comunità internazionale che da decenni ci chiede l’adempimento di un preciso impegno assunto con la ratifica della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura, ma già presente ai Costituenti, quando vi fecero riferimento nell’unico obbligo di punire previsto dalla nostra Carta fondamentale (art. 13, co. 4: “È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà”).
L’ennesimo insabbiamento del disegno di legge per l’introduzione del reato di tortura equivarrebbe a un messaggio di impunità verso pratiche violente, offensivo nei confronti della grande maggioranza degli appartenenti alle forze di polizia che ben conoscono i fini e i limiti del loro agire. Di fronte alle inquietudini che stanno mettendo a dura prova il diritto internazionale dei diritti umani e i fondamenti delle democrazie liberali, la Repubblica Italiana non può permettersi di subire nuove condanne dalla Corte europea dei diritti umani e di essere sanzionata in sede internazionale per via delle inadempienze parlamentari. Quando una chiara assunzione di responsabilità da parte delle forze politiche sarà stata presa, non sarà difficile individuare nel testo della Convenzione Onu o in quello recente approvato da Papa Francesco per lo Stato del Vaticano la soluzione più idonea alla formulazione del reato di tortura.
Come Garanti delle persone private della libertà, conosciamo la sofferenza con cui le persone detenute affrontano condizioni di detenzione rese intollerabili dal caldo, dall’affollamento e dalla mancanza di risorse. Solo la fiducia nello Stato di diritto, nelle sue istituzioni e nel rispetto dei diritti fondamentali consentono di mantenere un filo di speranza e di garantire un governo pacifico delle nostre carceri. Questa fiducia non può essere disattesa dalle istituzioni repubblicane”.
Acat: “Rafforzare il divieto di tortura contro l’alibi della sicurezza” (26 Giugno)
Rifugiati “parcheggiati” nei centri di detenzione in condizioni disumane, detenuti che vivono nelle carceri sovraffollate e generalmente malsane, oppositori politici e attivisti dei diritti umani minacciati dai governi: nel 2016 una parte significativa della popolazione mondiale ha subìto atti di tortura o trattamenti crudeli, inumani o degradanti.
ACAT Italia, la FIACAT (Federazione Internazionale delle ACAT) e tutte le altre ACAT, nel loro lavoro quotidiano sul campo e con le istituzioni regionali e internazionali a difesa dei diritti umani, rilevano che con la motivazione della sicurezza vengono facilitate le violazioni dei diritti umani e soprattutto promosse l’accettazione e legittimazione della tortura da parte della società civile. Per questo, in occasione della Giornata internazionale a sostegno delle vittime della tortura, desiderano congiuntamente ribadire la necessità di un rispetto reale delle norme degli strumenti giuridici internazionali vigenti.
Nel corso dei decenni innumerevoli testi internazionali e regionali hanno menzionato il divieto assoluto di tortura in qualsiasi circostanza e si sono appellati chiedendo di lottare contro l’impunità. Inoltre di recente nuovi strumenti internazionali e regionali hanno rafforzato la struttura legale per la lotta contro la tortura.
In questo scenario l’Italia mantiene la sua inaccettabile situazione di totale carenza legislativa: la tortura per il codice italiano non esiste, non è un reato sancito dal nostro Codice Penale. Da anni vari DL entrano ed escono da Camera e Senato, le bozze che si susseguono sono sempre diverse e molto criticabili. La situazione è decisamente inaccettabile anche perché, ratificando i vari trattati internazionali, l’Italia da oltre 20 anni ha preso formali impegni con l’ONU.
“La legge è molto chiara: la tortura non dovrebbe mai essere usata, qualunque siano il momento o le circostanze, anche durante i conflitti o quando la sicurezza nazionale è minacciata. In questa Giornata Internazionale esprimiamo la nostra solidarietà alle centinaia di migliaia di vittime di tortura e alle loro famiglie in tutto il mondo e a loro testimoniamo il nostro sostegno “(Ban Ki-moon, Segretario generale delle Nazioni Unite, Giugno 2016).
ACAT Italia si unisce quindi all’appello della FIACAT e invita il Governo italiano a:
- varare una legge che definisca la tortura come reato nel nostro Codice Penale;
- garantire l’attuazione di meccanismi di controllo come il Protocollo Opzionale alla Convenzione contro la tortura (OPCAT), che ha celebrato il suo 10 ° anniversario il 22 Giugno 2016;
- lottare contro l’impunità e garantire il diritto di ricorso per le vittime di tortura.
Come ogni anno, FIACAT e ACAT invitano i credenti in tutto il mondo a sostenere con la preghiera e l’azione coloro che soffrono per mano dei torturatori. Dove si prega non conta, l’importante è che tutti assieme sosteniamo le vittime dalla tortura.
Dichiarazione del 20 luglio di Massimo Corti Presidente di Acat Italia
Come Acat Italia non possiamo far altro che esprimere rabbia e incredulità per quanto è successo ieri in Senato. Sono trent’anni che l’Italia aspetta di avere una legge che introduca finalmente il reato di tortura nel nostro ordinamento penale e quello che vediamo invece sono critiche strumentali e costanti rinvii a data da destinarsi.”
“Non ci capacitiamo- continua- delle paure immotivate espresse dai sindacati di polizia, in quanto non ci risulta che nei paesi dove il reato è in vigore le forze di polizia vedano messo a rischio in alcun modo il proprio lavoro; prendiamo invece atto di come continui a mancare una volontà politica forte affinché anche il nostro paese torni ad essere allineato con il resto del mondo democratico in quanto a tutela e difesa e dei diritti umani fondamentali.”
“Di sicuro, e lo abbiamo ribadito più volte questa non era la legge migliore possibile ma era sicuramente qualcosa, quanto meno un punto di partenza migliorabile sotto tanti punti di vista. Il Parlamento ha deciso invece, ancora una volta, di non decidere, nonostante gli impegni e le promesse reiterate.”
Petizione al Ministro della Giustizia e al Presidente del Consiglio (aprile 2016)
Mi chiamo Ilaria, ho 42 anni e 2 figli. Vivo a Roma e di Roma è tutta la mia famiglia. È qui che sono cresciuta: non da sola, ma insieme a mio fratello Stefano, quello “famoso”. Stefano Cucchi, “famoso” perché morto tra sofferenze disumane quando era nelle mani dello Stato e, soprattutto, per mano dello Stato.
Mio malgrado, sono molte le persone che mi conoscono in questo Paese. Sanno come sono fatta. Sanno – perché da sette anniormai non mi stanco di ripeterlo – che sono in ottima forma fisica e che sono viva. Al contrario di mio fratello, che pesava quanto me ma che vivo non è più.
Nell’ottobre del 2009 non sono stata picchiata. Non mi hanno pestato, non mi hanno rotto a calci la schiena, non ho avuto per questo bisogno di cure mediche. Non mi hanno torturato. Sono viva. Sono viva e combatto con una giustizia che ha dimenticato i diritti umani.
Sono viva e da allora mi batto per non smettere di credere. Ecco perché chiedo che Parlamento e Governo approvino finalmente, ed entro quest’anno, il reato di tortura in Italia. Stiamo chiedendo all’Egitto verità per Giulio Regeni. Dobbiamo farlo. Ma ricordiamoci che lo facciamo dall’alto del fatto di essere l’unico Paese d’Europa a non avere una legge contro le brutalità di Stato. La Corte di Strasburgo ha già condannato l’Italia per gli orrori del G8 di Genova nel 2001. E ci ha imposto l’introduzione nel nostro codice penale del reato di tortura. Che aspettiamo?
Nonostante tutto io alla giustizia ci credo ancora. In questi giorni di preparazione alle elezioni amministrative in grandi città come Roma, Milano, Torino, Bologna, Napoli, ho lanciato delle provocazioni. Ho provato a richiamare l’attenzione della politica di qualsiasi colore su qualcosa che da sette anni fa parte della mia vita. Perché da sette anni sono una donna che chiede giustizia per l’abuso di cui è stato vittima suo fratello. E da sette anni sono una cittadina che chiede che la sfera pubblica dia finalmente risposte di civiltà.
Ho sempre creduto e continuo a credere nonostante tutto all’uguaglianza sostanziale di ognuno di noi di fronte alla legge. Vedo la politica litigare con la magistratura, i giudici scontrarsi con i governi ma non vedo, continuo a non vedere la base. E la base può essere solo quella di ripartire dai diritti umani.
Voglio che si riaccendano le luci non solo su questioni che riguardano la memoria di Stefano, ma che hanno a che fare con tutti noi. Penso a Giulio Regeni, Giuseppe Uva, Federico Aldrovandi, Riccardo Magherini. Tutte queste storie, tutte le persone dietro a queste storie ci testimoniano, con la loro morte che è una morte di Stato, che uno Stato di diritto senza diritto è una banda di predoni.
In questo nostro Stato manca un fondamento: quello del reato di tortura. Non è uno Stato di diritto quello che permette che un uomo, Andrea Cirino, venga torturato in carcere. E che permette che per questo orrore disumano non ci sia alcuna condanna, perché il reato di tortura in Italia non c’è.
Per quale motivo l’Associazione nazionale Magistrati che è sempre così giustamente sensibile ai problemi che la legislazione in materia di lotta alla corruzione e alla mafia può creare, mai e dico mai è intervenuta sul tema degli abusi e della violazione dei diritti civili e della mancata approvazione di una legge sulla tortura?
Se non si parte proprio da questo a nulla può portare il confronto tra le istituzioni: sono scontri di potere a danno dei cittadini, che vengono schiacciati, non tutelati.
Ogni tassello rimesso a posto rende più vicina la verità.
Per Stefano, per Giuseppe, per Marcello, per Giulio, per Riccardo e per tutti gli altri: approviamo il reato di tortura in Italia entro il 2016!