Arriva il secondo rapporto annuale dell’Ocse “uno sguardo all’istruzione” da cui emergono criticità piuttosto rilevanti sul sistema scolastico italiano. Tra il 2008 e il 2013 è stata evidenziata una significativa riduzione della spesa pubblica per l’istruzione, un taglio del 14% tra scuola e università. Tra i 34 Paesi industrializzati presi in esame dal report, peggio di noi è riuscita a fare solo l’Ungheria.
Nello specifico, il rapporto fa notare come il corpo docente italiano sia il più anziano fra tutti i Paesi e con un numero esiguo di uomini: 8 insegnanti su 10 sono infatti donne, uno sbilanciamento eccessivo. Le università intanto continuano a perdere potenziali studenti perché il totale della media che si iscrive a un corso di laurea triennale è solo del 37%, rispetto alla media degli altri Paesi presi in esame dall’Ocse che invece è del 52%. E comunque chi riesce a laurearsi poi fa fatica a inserirsi nel mondo del lavoro e le percentuali in tal senso sono impietose: solo il 62% dei laureati in età compresa tra i 25 e i 34 anni risulta occupato, contro un 83% degli altri Paesi.
Le cattive notizie non sono finite: l’Italia vanta anche un altro scomodo primato, quello dei cosiddetti Neet, vale a dire quei giovani che non studiano né lavorano. Rientra in questa categoria un terzo di ragazzi tra i 20 e i 24 anni.
L’unico dato positivo segnalato dall’Ocse riguarda gli istituti tecnici e professionali. Risulta che gli italiani in possesso di un diploma di questo tipo abbiano un tasso di disoccupazione minore rispetto ai ragazzi degli altri Stati con titoli di studio superiori. Secondo l’Ocse la differenza la determinerebbe il fatto che in Italia è consentito l’accesso all’università anche a chi proviene da un diploma professionale. Da questo tipo di libertà, nasce la scelta da parte della maggioranza dei ragazzi – il 56% – di iscriversi a scuole tecnico-professionali mentre la parte restante – il 44% – sceglie i licei.