Conto alla rovescia per l’attesissima sesta edizione del Festival Italiano del Volontariato che si terrà dal 14 al 17 aprile nella prestigiosa location del Palazzo Ducale, a Lucca. Per cogliere le sfaccettature più interessanti dei veri protagonisti del grande evento, ossia i volontari, abbiamo intervistato Paolo Bicocchi, direttore del Centro Nazionale per il Volontariato (Cnv), l’associazione nata in Italia nel 1984 con l’intento di realizzare un ambito di incontro permanente tra gruppi, associazioni e istituzioni, per lo sviluppo e il perfezionamento di un dibattito culturale e sociale, attorno alle specificità del volontariato.
Nelle sue prime cinque edizioni il Festival del Volontariato ha coinvolto più di 100.000 persone. Qual è stato, secondo lei, il motivo di questa grande partecipazione?
Negli anni il Festival Italiano del Volontariato si è affermato e solidificato come evento di riferimento del mondo della solidarietà italiano con una proiezione sempre più europea. Grazie alla qualità del programma culturale e alla presenza di big e massimi esperti dei temi di cui ci occupiamo, il Festival è diventato prima attraente, poi un punto di riferimento. Ci sono due dimensioni importanti che lo hanno consacrato e ci permettono ogni anno di organizzarlo e migliorarlo: la capacità di fare interessare i media nazionali all’evento – cosa come ben molto rara per il Terzo settore – e la capacità di anticipare i temi clou dell’agenda politica sociale. Basti pensare che dal palco del Festival del Volontariato, con l’intervento del premier Matteo Renzi, è partito il percorso legislativo e governativo di Riforma del Terzo settore nell’aprile del 2014. Tutto questo non è stato calato dall’alto, ma c’è stata una cura da parte del Centro Nazionale per il Volontariato nel coinvolgere le realtà associative disponibili a partecipare sia su scala locale sia nazionale. Il segreto è questo: un evento che non basta a se stesso, ma vuole essere un’agorà di partecipazione sociale e giovanile.
Quale messaggio vuole trasmettere questo grande evento italiano?
I messaggi sono molti. Vengono elaborati negli organi direttivi del Centro Nazionale per il Volontariato e poi sviluppati e declinati nel programma culturale. Ogni anno il Cnv lancia un tema centrale su cui costruisce il programma stesso. Vuole essere una provocazione “buona”, costruttiva, orginale. Nel 2014 lanciammo l’idea di “liberare le energie”, ripresa poi dal premier nel lanciare la Riforma del Terzo settore, lo scorso anno mettemmo al centro le visioni europee per affermare che le radici possono superare anche i confini; per il 2016 abbiamo esplorato l’attualità delle città invisibili di Calvino e vorremmo proprio squarciare il velo dell’invisibilità che ancora avvolge il bello e il brutto che le nostre società producono. Al centro c’è sempre un’idea, un messaggio di fondo: che il volontariato rappresenta una speranza per tutta la società in crisi di valori.
Qual è l’identikit del volontario in Italia?
La Fondazione Volontariato e Partecipazione, che svolge da anni ricerche innovative sul volontariato e la partecipazione sociale, ha proprio studiato, in collaborazione con il Banco Popolare, questo aspetto, cercando di capire quali siano i tratti fondamentali maggiormente distintivi del volontario italiano. Il volontario “medio” risulta ben istruito, occupato, non ha problemi economici e può vantare una buona qualità della vita. Chi contribuisce alle attività svolte dalle associazioni è in media più istruito rispetto a chi non si impegna (il 21,2% è laureato rispetto all’11,2% di chi non si impegna). Ma è anche più dedito ai consumi culturali, più interessato ai problemi politici e sociali, più soddisfatto della propria vita e più ottimista per il futuro. Questo non significa che il volontariato è fatto da gente privilegiata che non ha problemi, ma significa che il benessere influisce sulla moltiplicazione del benessere e della cultura del volontariato.
Com’è cambiato il volontariato in Italia negli ultimi anni?
Alcune cose sono cambiate, altre si confermano e mantengono. Come per tutti i fatti sociali, anche nel volontariato i cambiamenti sono meno rapidi di quanto si possa pensare. Le organizzazioni strutturate hanno sentito e sentono la crisi, ma sono riuscite in genere a trovare risorse per resistere e continuare a fare la propria parte. Una solidità che dimostra quanto il volontariato sia fondamentale per la tenuta della coesione sociale. Insieme a queste conferme ci sono le novità: forme sempre più agili e innovative di volontariato – come quelle online o dei grandi eventi come Expo 2015 – che riescono a coinvolgere persone, come i giovani, che altrimenti non potrebbero impegnarsi in forme più strutturate. Un cambiamento progressivo che riesce dunque a mantenere i tratti distintivi e identitari.
Qual è l’elemento che non può mancare per il raggiungimento della felicità pubblica?
Credo proprio che dalla ricerca sull’identikit del volontario italiano emerga un tratto fondamentale: che chi sta bene è disposto a restituire il bene. Credo quindi, osservando la felicità pubblica dal punto di vista del volontariato, che l’elemento che non può mancare sia quello di creare il più possibile le condizioni affinché il benessere materiale delle persone di ogni età, possa essere restituito alla società e a chi sta meno bene attraverso forme di impegno sociale e civile. In questo modo ci si sente parte di una comunità e questo può incidere in maniera determinante sui livelli di felicità pubblica.