Il nuovo anno porterà con sé nuove regole nel complesso sistema pensionistico italiano. Ecco cosa c’è da sapere
A partire dal 2025, il sistema pensionistico italiano subirà una significativa trasformazione, introducendo la possibilità di andare in pensione a 64 anni con un minimo di 20 anni di contributi. Questa novità, frutto di un emendamento alla legge di bilancio presentato dalla Lega, punta a rendere l’accesso alla pensione più flessibile. Ma chi potrà realmente beneficiare di questa opportunità e quali sono i requisiti necessari?
La modifica introdotta con l’emendamento alla legge di bilancio offre nuove opportunità ai lavoratori, ma solleva interrogativi importanti sulla direzione futura del sistema previdenziale italiano. La combinazione di contributi previdenziali e fondi pensione complementari rappresenta un passo verso una maggiore flessibilità, ma è fondamentale monitorare attentamente gli sviluppi e le ripercussioni di queste nuove regole nel tempo. La strada verso una pensione adeguata è ancora lunga e complessa, richiedendo un impegno costante da parte di tutti gli attori coinvolti.
Il nuovo meccanismo di accesso alla pensione
L’emendamento, riformulato dalla deputata Tiziana Nisini in commissione bilancio alla Camera, introduce un elemento chiave: la possibilità di sommare i contributi previdenziali con quelli provenienti dai fondi pensione complementari. Per accedere alla pensione, i lavoratori dovranno essere nel regime contributivo e avere almeno 20 anni di contributi versati. Questo significa che i contributi previdenziali e gli importi accumulati nei fondi complementari verranno considerati insieme per raggiungere l’importo necessario.
Attualmente, per andare in pensione a 64 anni, i lavoratori in regime contributivo devono garantire che l’assegno pensionistico sia pari a:
- Tre volte la pensione minima per gli uomini.
- 2,8 volte per le donne.
Con l’introduzione di questo emendamento, sarà possibile attingere anche alla rendita dei fondi pensione complementari per soddisfare queste soglie.
Ma cosa sono esattamente i fondi pensione complementari? Questi strumenti di risparmio privati sono progettati per integrare l’assegno pensionistico pubblico, garantendo una maggiore sicurezza economica al momento del pensionamento. I lavoratori possono contribuire versando una parte del loro stipendio o, come nel caso del TFR, trasferendo questi fondi in un piano pensionistico. I risparmi accumulati si trasformeranno in una rendita che si sommerà alla pensione pubblica, offrendo un sostegno economico più solido.
L’importanza di questi fondi sta crescendo, specialmente in un contesto in cui il sistema pensionistico pubblico, basato su un modello retributivo, sta evolvendo verso un modello totalmente contributivo. Con l’emendamento, il governo sembra voler incentivare l’adesione a questi fondi, rendendoli non solo un’opzione, ma una necessità per molti lavoratori che desiderano andare in pensione anticipatamente.
Secondo le prime stime, l’emendamento dovrebbe riguardare una platea ristretta di lavoratori. Attualmente, coloro che operano nel regime contributivo hanno in media circa 28 anni di contributi, solo 8 in più rispetto al minimo richiesto. Tuttavia, si prevede che a partire dal 2030, un numero maggiore di lavoratori potrà beneficiare di questa possibilità, man mano che accumuleranno i requisiti necessari.
Inoltre, se la cumulabilità con i fondi previdenziali complementari fosse estesa ai lavoratori con un regime misto (retributivo e contributivo) pre 1996, si stima che ulteriori 80.000 lavoratori potrebbero accedere a questa nuova flessibilità. Questo rappresenterebbe un importante passo avanti, soprattutto in un contesto di crescente incertezza economica.