La Romania è nel caos. Il ministro della Giustizia, Florin Iordache, ha dato le dimissioni il 9 febbraio scorso, dopo le continue manifestazioni da parte dei cittadini romeni che non protestavano in maniera tanto corale praticamente dai tempi della caduta del regima comunista di Nicolae Ceausescu.
Iordache era infatti al centro della protesta per aver ideato un contestatissimo decreto in materia di giustizia penale, adottato il 31 gennaio dal Governo per essere successivamente abrogato il 5 febbraio di fronte all’evidenza di proteste che stavano creando non pochi problemi di ordine pubblico in tutta la Romania.
Il provvedimento che ha fatto infuriare la folla prevedeva – nell’ambito della riforma del sistema penale – maggiori difficoltà nel perseguire i reati di corruzione, problema che la Romania si trascina da decenni. In maniera particolare, ciò che ha sollevato la furia della popolazione è stata la proposta di ridurre la pena in particolare per i casi di abuso d’ufficio.
La protesta si è inasprita anche per un’altra comprensibile ragione: grazie al decreto, infatti, il partito socialdemocratico al Governo avrebbe sfruttato la situazione per proteggere dalle conseguenze di un procedimento giudiziario il proprio leader Liviu Dragnea a cui viene imputato di essere a capo di un sistema di finte assunzioni. Se da un lato Dragnea si è difeso dicendo che il decreto non avrebbe rappresentato per lui alcuna salvezza, dall’altro il Governo ha appoggiato lo stesso asserendo che il provvedimento avrebbe posto rimedio al sovraffollamento delle carceri.
I manifestanti, però, non hanno concordato su niente. Al contrario, hanno chiesto un inasprimento penale per i reati di corruzione e un maggior controllo presso tutti gli apparati pubblici. Considerando le cifre che fanno riferimento solo al 2015, è difficile dar torto al popolo romeno: ben 16 deputati, 5 ministri e lo stesso numero di senatori, 97 sindaci o vicesindaci sono finiti sotto inchiesta dal dipartimento nazionale anti-corruzione.