Non smette di destare stupore e aprire a nuovi e affascinanti scenari il mistero legato alla cavità nella piramide di Cheope, recentemente scoperta dagli archeologi. Si pensa, infatti, che al suo interno potrebbe essere contenuto il trono di ferro del faraone, vale a dire il corredo funerario in ferro arrivato sulla Terra direttamente dal cielo, dai meteoriti.
Questa è almeno l’ipotesi dell’archeostronomo Giulio Magli del Politecnico di Milano che, dopo un attento studio, ha pubblicato un interessante articolo sul sito ArXiv in cui spiega che ci sarebbero tutti i presupposti per partire alla volta di un’altra esplorazione all’interno della tomba avvalendosi dell’aiuto dei robot.
Osserva infatti Magli: «Valutando la statica della struttura, è chiaro che questa camera non poteva avere una funzione di scarico del peso, come invece avevano suggerito alcuni egittologi». Non a caso, la radiografia effettuata con i muoni, vale a dire le particelle prodotte dallo scontro dei raggi cosmici con l’atmosfera, «ha evidenziato che la cavità si trova lungo l’asse nord-sud della piramide e questo ha un particolare significato simbolico», ha argomentato l’archeostronomo.
Una tesi avvalorata dallo studio degli antichi testi secondo cui «l’anima del faraone defunto avrebbe preso il suo posto fra le stelle che non muoiono mai, quelle circumpolari delle costellazioni dell’Orsa e del Drago, dopo aver attraversato le porte del cielo. Due porticine sono state già identificate nella piramide: quella del condotto sud (un quadrato di appena 20 centimetri per lato) non porta a nulla, mentre quella del condotto nord è ancora inesplorata. È probabile che comunichi con la nuova camera, dove si potrebbe trovare il trono su cui il faraone avrebbe dovuto sedersi fra le stelle».
Altro punto a favore della tesi del professor Magli riguarda la madre di Cheope, la regina Hetepheres I, anch’essa con un trono che era «una sedia bassa, fatta di legno di cedro ricoperto di lamine d’oro». Il che presupporrebbe che «anche il trono del figlio sia una piccola sedia di legno, adornata però con lamine di ferro».
Ciò che maggiormente affascina rispetto al trono di Cheope è legato al fatto che durante l’epoca degli Egizi cui si fa riferimento, il ferro non era un materiale per il quale ci fossero delle attività estrattive. L’unico che conoscessero era quello portato sulla Terra dai meteoriti. Considerato assai prezioso, gli Egizi lo fondevano per ottenere oggetti rituali, come ad esempio la lama del pugnale di Tutankhamon che proprio uno studio internazionale a cui ha preso parte il Politecnico di Milano ha dimostrato essere di natura meteoritica.
Ora non resta che dimostrare la validità della tesi del professor Magli ma per farlo occorre in prima istanza il benestare delle autorità egiziane e in secondo luogo un attento lavoro basato sull’utilizzo di piccoli robot in grado di perlustrare cunicoli di pochi centimetri.