Proviamo a mettere insieme due notizie degli ultimi giorni: Save the Children ha presentato un’interessante indagine sulla povertà educativa in Italia (leggi l’articolo) e il Censis, in occasione della 39^ Assemblea nazionale di Confcooperative, ha illustrato uno studio sui flussi di studenti universitari e laureati dalle regioni del Mezzogiorno a quelle del Nord Italia o all’estero (leggi l’articolo).
Da un lato veniamo così a scoprire che la Sicilia e la Campania risultano essere al primo posto nella classifica delle regioni italiane con la più alta povertà educativa, ossia quelle dove è più scarsa l’offerta di servizi e le opportunità educative e formative che permettano ai minori di imparare, sperimentare e sviluppare le proprie capacità personali e le loro ambizioni di vita. Al secondo posto della classifica troviamo la Calabria e la Puglia.
Dall’altro lato possiamo verificare che nelle Regioni meridionali in un anno circa 31 mila laureati sono emigrati all’estero o al Centro-Nord. Nelle università di queste regioni sono circa 168.000 gli studenti meridionali. In dieci anni il Sud perde 3,3 miliardi di euro di investimenti in capitale umano e 2,5 miliardi di tasse che emigrano verso le università del Nord.
Il Paese è tagliato in due anche nel sistema educativo. Un’ulteriore testimonianza di “irresponsabilità collettiva”. Troppi i ragazzi che rimangono indietro, in una condizione di deprivazione sociale e culturale; troppi i giovani che abbandonano il Mezzogiorno perché privi di prospettive. Neppure le Università meridionali, a volte ricche di competenze e specializzazioni, riescono a invertire la tendenza, svolgendo una significativa funzione di attrazione di studenti da altre regioni italiane o dall’estero.
Tuttavia, in attesa di poter consultare con attenzione lo studio del Censis, vale la pena soffermarsi sui dati forniti dall’indagine di Save The Children. Una campagna per sconfiggere le povertà educative e tornare ad illuminare il futuro; un’interessante definizione di povertà educativa, vista in un’ottica multidimensionale; un nuovo indice per misurare la povertà educativa; un’analisi dello stato di fatto in ciascuna regione italiana: questi gli elementi che all’attenzione dei lettori di Felicità Pubblica, tutti tratti da “Liberare i bambini dalla povertà educativa: a che punto siamo? Un’analisi regionale” .
CAMPAGNA ILLUMINIAMO IL FUTURO
Per restituire pari diritti e opportunità ai bambini, sconfiggere le povertà educative e tornare a illuminare il futuro del nostro paese, nel 2015 la Campagna Illuminiamo il Futuro di Save the Children ha messo a punto tre Obiettivi principali sull’esempio dei nuovi Obiettivi di Sviluppo Sostenibili indicati dalle Nazioni Unite:
LA POVERTÀ EDUCATIVA “MULTI-DIMENSIONALE”
La definizione di povertà educativa elaborata da Save the Children, si è ispirata alla Convenzione ONU sui Diritti dell’Infanzia e alla teoria delle capabilities di Amartya Sen e Martha Nussbaum. In particolare, sono state individuate quattro dimensioni della privazione educativa. Esse sono:
INDICE DI POVERTÀ EDUCATIVA (IPE) 2016
Il nuovo IPE si compone dei seguenti indicatori:
A CHE PUNTO SONO LE REGIONI?
La classifica dell’indice IPE 2016 non lascia dubbi: Sicilia, Campania, Calabria, Puglia e Molise sono le regioni di gran lunga più lontane dagli Obiettivi Illuminiamo il Futuro 2030. Un dato confortato dalla lettura nel dettaglio dei singoli indicatori: la Campania si piazza ai primi 5 posti della speciale classifica della povertà educativa in ben 8 indicatori sui 10 considerati, la Sicilia e la Calabria in 7 ciascuna. La Puglia figura ai primi posti rispetto alla metà degli indicatori mentre il Molise è in testa alla classifica rispetto a 2: per le due regioni appena citate la performance negativa appare strettamente legata alla dimensione insufficiente dell’offerta educativa. Infine, anche l’Abruzzo mostra un livello di povertà educativa superiore al valore medio nazionale. Analizzando la deprivazione educativa dei minori in base ai due indici intermedi, si osserva un maggiore ritardo dei minori di Sicilia, Calabria e Campania, nella dimensione dell’opportunità di apprendimento e sviluppo fissata dall’Obiettivo 1. Se in molte regioni la percentuale di ragazzi che non raggiungono le competenze minime in matematica è in linea con gli altri paesi europei, in Sicilia (37%) e Campania (36%) oltre un terzo dei quindicenni si trovano in questa condizione, mentre in Calabria il gap di competenze riguarda quasi un minore su due (46%), un dato paragonabile a quello delle regioni interne della Turchia (cresciuto di 6 punti percentuali rispetto alla rivelazione precedente), e di paesi in via di sviluppo quali Malesia e Messico. Risultati analoghi si riscontrano in riferimento alle performance in lettura, con il 37% dei quindicenni calabresi privi delle competenze minime (il 30% dei ragazzi siciliani e il 28% di quelli campani). Dati che non stupiscono più di tanto se è vero che in queste regioni più di due minori su tre non leggono libri, non praticano sport, non navigano su internet nel tempo libero. In Campania l’84% dei minori tra i 6 e 17 anni non svolgono 4 o più tra 7 attività culturali e ricreative considerate; il 79% in Sicilia, il 78% in Calabria, il 74% in Puglia, il 71% in Molise e il 70% in Abruzzo. Inoltre, in queste stesse regioni la percentuale di ragazzi che abbandona prematuramente gli studi, è tra le più alte in Europa: un giovane su quattro in Sicilia e uno su cinque in Campania figurano nella categoria degli Early School Leavers. Non stupisce nemmeno, allora, che proprio in queste regioni si registrino i tassi di povertà più elevati d’Italia. Il 23% dei minori in Calabria vivono in povertà assoluta, il 18% in Sicilia. Nelle regioni meridionali, più di un terzo dei minori è in povertà relativa. Si conferma in altre parole la forte correlazione tra povertà materiale e povertà di apprendimento e sviluppo. (…) fatta eccezione per Campania, Basilicata e Sardegna, maggiore è il tasso di povertà relativa dei minori, maggiore è la povertà educativa.
Il legame tra svantaggio ‘ereditato’ e povertà educativa potrebbe essere spezzato attraverso l’offerta di servizi educativi di qualità e l’attivazione di percorsi di resilienza tra i bambini e gli adolescenti maggiormente svantaggiati. Tuttavia, come mostrano i dati del secondo sub indice relativo all’Obiettivo 2 fissato dalla campagna di Save the Children, proprio le regioni dove maggiori sono i problemi dei minori in quanto ad apprendimento e sviluppo, sono anche quelle che, con qualche eccezione, guidano la classifica della povertà dell’offerta educativa. Allarmanti, in particolare, sono i dati riguardanti la penuria di servizi per la prima infanzia, tempo pieno e mense a scuola, nonché di infrastrutture adeguate all’apprendimento. In Calabria, Campania e Puglia, l’indice di presa in carico dei bambini 0-2 anni ad opera dei servizi educativi pubblici non supera il 5%: meno di 5 bambini su 100 hanno la possibilità di frequentare un asilo nido o un servizio integrativo pubblico o convenzionato. D’altra parte, in Molise e in Sicilia ben il 92% delle classi della scuola primaria non garantisce il tempo pieno, e le cose non vanno molto meglio in Campania, Abruzzo, Puglia e Calabria, con percentuali di classi elementari escluse da un’offerta formativa più ampia superiori al 75%. Per non parlare della scuola secondaria di primo grado, dove l’offerta del tempo pieno diminuisce ulteriormente, fino quasi a scomparire in Molise e in Puglia (dove rispettivamente il 99% e il 91% delle classi non prevede questo fondamentale servizio). Divari analoghi si riscontrano in relazione alle mense: nelle regioni in cima alla classifica IPE, due terzi o più degli alunni non usufruiscono del servizio mensa, e più della metà dei ragazzi frequenta scuole che presentano infrastrutture considerate inadeguate all’apprendimento. In Calabria infine circa il 40% delle aule didattiche non ha connessione internet veloce, a fronte di una media nazionale del 28%. In questo caso, le regioni del Sud e le Isole, dove maggiore è lo svantaggio economico ed educativo, sono anche quelle dove più problematico è l’inserimento sociale e lavorativo dei ragazzi nell’età adulta. (…) esiste una correlazione molto forte tra povertà educativa nella dimensione apprendimento e sviluppo ed il tasso di ragazzi tra i 15 e 29 anni che non lavorano e non frequentano percorsi di istruzione e formazione per le regioni – Not in Education, Employment and Training (NEET). Come in un circolo vizioso, i bambini e gli adolescenti che nascono in zone dove maggiore è l’incidenza della povertà economica, e che offrono minori opportunità di apprendimento a scuola e nella comunità educante, rischiano di essere esclusi da adulti, e così via per le generazioni seguenti.
Tra tante ombre, il lavoro sugli indicatori IPE offre anche qualche rara luce. Ad esempio la Campania nell’arco di 3 anni ha fatto registrare alcuni progressi in tutti gli indicatori di povertà educativa. In particolare in questa regione si osserva un miglioramento di 4 punti percentuali rispetto al monte di adolescenti che non raggiungono le competenze minime in lettura, qualche graduale passo avanti nella lotta alla dispersione scolastica (2 punti in meno) e un incremento di ben 20 punti, in quanto a percentuale di aule didattiche connesse con internet veloce. Un trend positivo, quest’ultimo, comune alla maggior parte delle regioni meridionali (Calabria +15 pp, Sicilia +11 pp, Abruzzo +10 pp) e in generale a tutto il territorio nazionale (+9 pp media Italia). Due le eccezioni positive che è possibile osservare al Sud: Sardegna e Basilicata. La prima malgrado debba fare i conti con tassi di povertà relativa mediamente elevati, e si collochi al quarto posto nella dimensione delle povertà di opportunità di apprendere e svilupparsi, nel sub indice relativo all’offerta educativa si posiziona nella parte buona della classifica, addirittura al 16° posto, tra le regioni che garantiscono un’offerta educativa di maggiore qualità. La Basilicata fa ancora meglio: si piazza al 17° e terzultimo in quanto ad offerta educativa, e al 14° posto nella classifica generale dell’indice IPE, al pari delle regioni del Nord e del Centro, in particolare grazie a un’elevata percentuale di infrastrutture scolastiche considerate adeguate, e a un’importante offerta di tempo pieno e a un servizio di refezione tra i più capienti d’Europa. Importanti, in particolare, appaiono i progressi registrati dal MIUR sul fronte dell’offerta di tempo pieno (+8 pp nella scuola primaria e + 19 pp nella scuola secondaria di primo grado nell’arco di un solo anno scolastico).
Con l’eccezione come abbiamo visto della Basilicata e della Sardegna, le regioni italiane che si “avvicinano” di più agli Obiettivi della Campagna Illuminiamo il Futuro 2020, ovvero dove minore sono le privazioni di opportunità di apprendimento e sviluppo, e dell’offerta educativa per bambini e adolescenti si trovano tutte al Nord (Lombardia, Emilia Romagna e Friuli Venezia Giulia, Piemonte, Veneto) o al Centro (Toscana, Umbria e Marche). In queste regioni si osservano progressi in tutti gli indicatori selezionati per l’IPE negli ultimi 3 anni e anche alcune zone d’ombra. Il Veneto, ad esempio, presenta valori di deprivazione elevati nel campo dell’offerta educativa, con un punteggio ben al di sopra del valore nazionale di riferimento, che supera quello di Abruzzo e Calabria ed è inferiore soltanto a quelli di Molise, Sicilia, Campania e Puglia. Nessuna delle regioni virtuose, inoltre, appare in linea con l’obiettivo di medio termine per portare la copertura degli asili nido al 33% entro il 2020. Anche l’Emilia Romagna, la regione con l’indice di presa in carico dei bambini 0-2 anni più alto, si ferma al 26,8%; inoltre presenta un’offerta particolarmente insufficiente di tempo pieno nella scuola secondaria di primo grado, superiore soltanto a quella del Molise (94% di classi senza tempo pieno nella prima contro le 99% della seconda). La Valle d’Aosta manca l’obiettivo della riduzione della dispersione scolastica sotto il 10%, nonostante un miglioramento di 3 pp rispetto all’anno precedente dal 19% al 16%58. Toscana, Friuli- Venezia Giulia e Veneto si classificano invece nelle prime 5 posizioni per numero di adolescenti che frequentano scuole con infrastrutture giudicate inadeguate all’apprendimento, assieme a Liguria e Campania (tutte con percentuali superiori al 70%). Infine, nonostante il complessivo miglioramento del livello di connessione internet delle scuole italiane su tutto il territorio nazionale, più di un terzo delle aule didattiche in Friuli-Venezia Giulia, Piemonte e Veneto resta senza connessione internet veloce.