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Pro-ana: la “religione” che promette perfezione e regala morte

Contattatemi e mandatemi i vostri numeri per creare un gruppo whatsapp dove aiutarci a vicenda. Io personalmente pesavo tanto e grazie ad ana sono riuscita a dimagrire in un mese 20kg”.

Questo è l’appello di una ragazza che si propone di aiutare a dimagrire altre persone che, proprio come lei, non accettano il proprio corpo. Non parliamo di una nutrizionista, né di un medico qualsiasi, né tantomeno di una personal trainer, ma di una “ana trainer”, dove “ana” sta per anoressia.

Un’assurdità? Niente affatto purtroppo, piuttosto una realtà di cui è pieno il web. Questo messaggio, infatti, è solo uno dei tanti comparsi sul monitor del mio pc digitando due semplici parole che nascondono un mondo infernale, fatto di sofferenza e privazione: pro-ana. Sei lettere che incitano al digiuno e che negli ultimi anni sono diventate una vera e propria “religione” da seguire per raggiungere quella che, agli occhi di persone fragili e malate, rappresenta la perfezione, ma che non è altro che l’anticamera della morte.

A lasciarmi perplessa non è il messaggio in sé, ma le centinaia di risposte giunte da ogni parte d’Italia e non solo (ci sono anche ragazze che scrivono dalla Germania ad esempio) di persone, quasi esclusivamente donne e molte anche giovanissime (“ho 14 anni posso entrare lo stesso nel gruppo?”, chiede una di loro), che accettano di buon grado di fornire il proprio numero di cellulare in chiaro – in barba a qualunque regola di buon senso – nella speranza di raggiungere quei canoni di “perfezione”.

Ho bisogno di questo gruppo perché non sopporto di mangiare, voglio tornare a quando da bambina pesavo 19 kg”, scrive una di loro. “Sono in cerca di un ana trainer, che mi sproni al limite e mi faccia arrivare alla perfezione”, aggiunge un’altra.

Farfalla, piuma, vento, fantasma: sono solo alcuni dei nickname scelti, che mal celano un disagio comune a migliaia di giovani e giovanissimi – soprattutto di sesso femminile – che ogni giorno lottano prima contro il loro corpo, poi contro i crampi della fame e poi contro la morte. Una battaglia, quest’ultima, che spesso perdono miseramente. Eppure queste fragilissime ragazze spesso non si rendono conto della gravità delle loro azioni e, invece di chiedere aiuto per guarire,  lo chiedono per andare avanti nel loro difficile viaggio verso l’anoressia. Eh già, perché se per loro mangiare è un dramma, digiunare è altrettanto difficile. Per questo in gruppo si sentono più forti, si fanno coraggio, si danno consigli e, probabilmente, si sentono meno sole.

Ma non si può fare nulla per evitare il propagarsi di quella che sembra sempre più un’epidemia contagiosissima? E’ la domanda che si chiedono in molti in questi giorni, da quando il tema dell’anoressia è tornato prepotentemente al centro dell’attenzione dei mass media per via di una blogger marchigiana di 19 anni che è stata denunciata per istigazione al suicidio e lesioni gravissime. L’accusa, e la relativa chiusura del blog pro-ana, è arrivata dopo la segnalazione della madre di una 14enne di Ivrea che aveva smesso di mangiare seguendo i consigli trovati su quella pagina internet. Consigli che si ripetono, simili, in tanti altri blog – che ho scelto di proposito di non riportare in questo articolo – e che corrono in maniera ancora più subdola e difficile da scovare sui gruppi di Facebook e di WhatsApp.

A rendere tutto più complicato è che nel nostro Paese c’è un vero e proprio vuoto legislativo in merito, nonostante i diversi tentativi fatti in passato per cercare di porre un freno a questa piaga.

Ricordiamo che l’attuale ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, nel 2008 presentò una proposta di legge mirata a oscurare i circa 300mila siti Internet italiani che promuovono anoressia (appunto ‘pro-ana’) e bulimia (‘pro-mia’). Il testo prevedeva l’introduzione del reato di istigazione all’anoressia e alla bulimia e, per chi incita alla malattia, la reclusione fino a un anno, che sarebbero diventati due se l’istigazione avesse coinvolto minori o persone prive della capacità di intendere e di volere. La legge, dicevamo, non è mai stata approvata, così come è rimasta lettera la morta  la proposta bipartisan risalente al 2014, che aveva come prima firmataria la deputata Pd Michela Marzano e volta, anche in questo caso, a introdurre il reato di istigazione all’anoressia.

Ma evidentemente le ragazze che sognano di diventare come il loro modello immaginario Ana sono – ahimè – molto più determinate a raggiungere il loro obiettivo rispetto a molti dei nostri parlamentari.

E’ a questi ultimi che consiglio di andare a farsi un giro su questi blog che, anche per colpa loro, sono ancora online. Li sfido a non provare i brividi davanti ad alcuni “comandamenti” pro-ana come “Non sarai mai troppo magra”, “Essere magri è più importante che essere sani” o ancora “Compra dei vestiti, tagliati i capelli, prendi dei lassativi, muori di fame, fai di tutto per sembrare più magra”.

Le ultime parole di questo editoriale, però, voglio rivolgerle a chi è già entrato in questo tunnel e soprattutto a chi è ancora in tempo per fermarsi. Sono parole che prendo in prestito da uno dei simboli di bellezza ed eleganza per eccellenza del nostro secolo, Audrey Hepburn: “Le donne più belle sono quelle felici”. Ecco, fatevi aiutare a cercare la felicità, non la finta perfezione!

Il direttore

Vignetta di copertina: Freccia.

Published by
Antonella Luccitti