“Stamattina sveglia alle 4. Di fronte al Responder, la nave di Moas per il soccorso dei migranti, un peschereccio con circa 400 persone a bordo. Ci avviciniamo. Inizia il recupero. Dalla stiva spingono fuori quattro corpi senza vita. Uno di questi è un ragazzino. Proviamo disperatamente a rianimarlo lì, sul passavanti di quell’imbarcazione, in mezzo agli altri corpi, ma non c’è nulla da fare. Altri tre ragazzi non respirano più. Anche loro vanno subito rianimati. Uno respira,ma è in coma: deve essere immediatamente evacuato con l’elicottero della Marina.
E poi penso agli oltre 20.000 qui sotto, nelle profondità delle acque in cui stiamo navigando, che non ce l’hanno fatta. Sono uguali a quelli che ora sono qui a bordo del Responder e che, seppur stravolti dal viaggio, sorridono contenti. Perché, invece, loro ce l’hanno fatta. Sorridono, loro. Forse sanno molto poco di quello che li aspetta.
Ovviamente sempre meglio della situazione dalla quale scappano. Ma forse non sanno che una volta sbarcati, rischiano di incappare in qualcuno, a Fermo come in qualsiasi altra città europea, che non ha capito niente del mondo. Che li offenderà. O che li ammazzerà di botte.
Vista da qui, da questo tratto di mare che è stato “culla della civiltà”, l’idea che un posto sia di qualcuno e non di tutti sembra proprio una follia”.
Mimmo, medico di Emergency nel Mediterraneo