Negli Stati Uniti si chiamavano street papers, da noi erano i giornali di strada che nel corso degli anni ’90 erano diffusi tanto in America quanto qui. Raccontavano il fervore della vita proveniente da ciò che si diceva nella piazze, trattavano di tematiche sociali e sposavano le cause dei deboli e degli emarginati. Spesso distribuiti dai senza tetto, dagli indigenti, gli autori potevano essere giornalisti professionisti oppure homeless e avevano un discreto successo.
L’interesse, poi, forse complice anche la nuova era di comunicazione, è andato scemando insieme a un calo generale verso i temi che i giornali trattavano. Tuttavia ancora oggi essi resistono e addirittura ne nascono di nuovi. Alice Facchini, studiosa del fenomeno, ci ha scritto un saggio che si chiama “Il modello economico dei giornali di strada” (edito da Ebook), ed è particolarmente interessante perché punta l’attenzione sulla sostenibilità economica di queste testate nel complesso di un mercato dell’editoria sempre più competitivo. A loro modo infatti, queste riviste costituiscono delle piccole imprese sociali che devono tener conto delle regole fondamentali del mercato economico.
Interrogando il testo di Alice Facchini, scopriamo che il giornale di strada più diffuso al mondo si trova a Londra ed è “The Big Issue”, mentre in Italia – dove la diffusione non regge il confronto con la realtà inglese – ce ne sono però addirittura 8: “Piazza Grande” di Bologna (di cui parlammo in occasione dell’uscita di un numero speciale), “Scarp de’ tenis” (a cui pure dedicammo un articolo) e “Terre di mezzo” di Milano, “Fuori Binario” di Firenze, “Foglio di via” di Foggia e “Shaker” di Roma.
Per quanto riguarda l’aspetto economico, dalle indagini effettuate da Alice Facchini, risulta che quasi tutti i giornali di strada raramente raggiungono il pareggio di bilancio e fanno quindi molta fatica ad autofinanziarsi. Le donazioni, gli abbonamenti, la pubblicità non sembrano insomma essere sufficienti alla sopravvivenza delle testate, pertanto le strategie che vengono adottate sono essenzialmente due: la prima è quella legata alla trattazione di temi che possano risultare più interessanti a parere del grande pubblico, la seconda è legata ai contenuti, mai lontani da tematiche sociali, e incentrati sulla sensibilizzazione dei cittadini senza fissa dimora.
Nessuno dei due modelli, questa la conclusione di Alice Facchini, risulta essere migliore dell’altro e in qualche maniera quella dei giornali di strada è una nicchia editoriale che in futuro potrebbe incorrere nel rischio di scomparire.