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Quando a vincere è l’umanità: medici cristiani e musulmani insieme

Siamo a Karak, in Giordania, cittadina di appena 60.000 abitanti, la più povera del Paese ma dove ogni giorno si verifica qualcosa di bello e, insieme, utile. Qui infatti c’è «l’ospedale italiano», un’istituzione non profit che fu fondata nel lontano 1935 dall’Ansmi (Associazione Italiana per Soccorrere i Missionari Italiani), e diretta dalle suore comboniane. I cristiani costituiscono appena il 3% della popolazione, per il resto il Paese è abitato quasi interamente da musulmani.

Eppure, in questo ospedale medici di ambo le religioni lavorano tutti i giorni gomito a gomito e per una causa comune: salvare quante più vite possibili. Nel corso degli ultimi decenni la struttura sanitaria ha curato prima i palestinesi, poi gli iracheni, oggi i siriani. Tutte persone che nel corso degli anni hanno visto guerre, orrori e sono state costrette a fuggire dalle loro terre d’origine.

Solo l’anno passato sono state ospitate oltre 22.000 persone, una cifra altissima se si tiene conto del fatto che nella struttura lavorano complessivamente 80 persone e solo 8 medici, con la collaborazione sporadica di consulenti esterni.

Suor Adele Brambilla, la direttrice dell’ospedale, spiega come la struttura sanitaria faccia parte ormai della storia della cittadina all’interno della quale esiste un rapporto reciproco basato sul rispetto e sulla professionalità da parte di tutto lo staff. Si condivide tutto: la gioia di un’operazione ben riuscita, il senso di sconfitta interiore quando qualcun altro non ce la fa, le speranze che sono il nutrimento di tanto lavoro, il fardello della fatica quotidiana. Il tutto sotto la luce di un’idea di umanità comune in cui non c’è posto per razzismi, fanatismi religiosi, antipatie, trattamenti di favore in base alle proprie sostanze economiche; al contrario, le attenzioni speciali qui vengono riservate ai poveri. In Giordania accedere alle cure, purtroppo, non è così semplice per gli indigenti: occorre un’assistenza sanitaria che spesso la gente non ha.

Concetti, questi, molto ben espressi dal dottor Adwadh che dichiara: «Penso sia una cosa molto importante, vitale direi, che dottori cristiani e musulmani lavorino insieme prendendosi cura delle persone sofferenti. Fra noi vi è grande collaborazione, non si fa differenza tra chi è cristiano e chi è musulmano, né vi sono pregiudizi o barriere di sorta. Ci sosteniamo reciprocamente e facciamo un ottimo lavoro di squadra: per me questo ospedale è come una famiglia».

Insomma, sono una squadra così ben formata che in un clima di così grande rispetto queste persone sono in grado di festeggiare insieme le rispettive ricorrenze religiose, dando a tutti un grande esempio di convivenza e rispetto. E umanità, prima di tutto.

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Redazione