E’ stato pubblicato in questi giorni il Rapporto ICity Rate 2016, un documento annuale elaborato da Forum PA in collaborazione con Istat, Anci, Unioncamere e Openpolis che fotografa la situazione delle città italiane nel percorso verso città più intelligenti, ovvero più vicine ai bisogni dei cittadini, più inclusive, più vivibili.
Per realizzare il Rapporto, ICity Lab individua e analizza diverse dimensioni urbane e, per ognuna di queste, un certo numero di variabili e di indicatori. I valori ottenuti dall’esame delle variabili/indicatori sulla base delle fonti esistenti, vengono poi trasformati e aggregati in un unico valore di sintesi che consente di stilare un indice finale (ICity index).
La ricerca è stata coordinata da Gianni Dominici, direttore generale di FPA, e curata da Valentina Piersanti e Massimo La Nave.
Ma qual è, dunque, la città più smart in Italia?
Senza dubbio Milano che resta in testa anche per il 2016 confermando la sua leadership grazie a tre fattori trainanti: economy, people e living. Restano punti critici tuttavia gli indcatori relativi alla sicurezza, alla corruzione e alla qualità dell’ambiente. Segue la città di Bologna che conferma il secondo posto ma si allontana dal risultato del capoluogo lombardo passando dai 25 punti di distanza del 2015 agli 80 punti dell’anno in corso. La città emiliana, tuttavia, primeggia in termini di partecipazione, open data, nuovi strumenti di programmazione, stabilità economica e capacità gestionale. Al terzo posto compare Venezia che cresce di 2 posizioni rispetto al 2015 per effetto, oltre che dell’ottimo posizionamento nella mobilità, di un miglioramento significativo nelle dimensioni del capitale umano, della governance e della struttura economica. Firenze scende di una posizione ma la sua distanza da Venezia è veramente minima, la capitale toscana è prima nella dimensione people, nella quale supera Milano e Torino, ma perde terreno sulle aree dell’ambiente e della legalità. Dopo le quattro città metropolitane arrivano nel top della classifica Padova e Torino, seguite a ruota dalle piccole capitali: Parma, Trento, Modena e Ravenna. Sono 5 le città metropolitane e 5 le città medie nella parte alta del rating, tutte del Nord est tranne Milano e Torino del Nord Ovest e Firenze che con la sua 4 posizione è unica rappresentante del Centro. Per quanto riguarda le altre aree metropolitane, Roma e Napoli continuano a restare arretrate dal gruppo di testa, mentre la capitale è ferma in ventunesima posizione, Genova sale di tre posizioni e arriva al 26° posto e poi le città del Sud con Cagliari in 54° posizione, Bari 65°, Palermo 86°. Napoli scende all’ 89° gradino, seguita solo da Catania (95°) e Reggio Calabria (104°).
Per maggiori approfondimenti rinviamo alla consultazione del documento integrale mentre riportiamo di seguito l’analisi che apre il rapporto alla luce dei risultati.
ICityRate 2016 guarda alle città come piattaforme abilitanti
Quest’anno – più che in passato – ICityRate va a misurare, unitamente alla qualità del vivere urbano, la capacità delle città di farsi piattaforma abilitante, di guardare a traguardi lunghi facendo scelte e investimenti che puntano sui nuovi driver di sviluppo. Il paradigma della Smart City negli ultimi anni ha sempre di più spostato l’accento dall’innovazione tecnologica all’innovazione sociale, al co-design, alla gestione dei beni comuni. In questa direzione sono andate le strategie europee della nuova programmazione, e in questa direzione stanno andando le politiche locali. Il riflesso di questa evoluzione del concetto di smart city e della sua traduzione nelle politiche urbane ha portato all’introduzione nell’ ICityRate di nuove variabili che vanno a misurare la capacità delle città di: accogliere e saper gestire i flussi migratori, attrarre cervelli e talenti, generare imprese innovative, mettere a sistema luoghi di condivisione di strumenti per la produzione di oggetti e di saperi e supportarli, attrarre finanziamenti europei per la ricerca e l’innovazione, rendere disponibili i dati pubblici,
agevolare le pratiche d’uso sociale degli spazi pubblici, attivare reti e relazioni per la sostenibilità e la gestione delle politiche smart e certamente anche di declinare a livello locale la strategia di crescita digitale nazionale. Oltre a queste nuove dimensioni introdotte sono stati potenziati gli indicatori che vanno a misurare gli aspetti legati alla sicurezza e alla legalità. Usando una metafora possiamo dire di aver alzato l’asticella spostando in alto gli obiettivi con i quali le città si devono confrontare. E’ evidente, infatti, che l’analisi dei sistemi urbani non può avvalersi di una analisi statica dei diversi fenomeni, che restituirebbe una fotografia mossa dell’esistente ma deve avvalersi di volta in volta di indicatori sempre più in grado di spiegare anche i processi emergenti. Il risultato più evidente di questo ampliamento è che in termini assoluti le città non raggiungono i valori dello scorso anno che diventano i nuovi parametri da raggiungere. Per fare un esempio, la capolista Milano passa da 638 punti a 624 ma rimane prima e, anzi, aumenta, come abbiamo visto, il divario che la separa dalla seconda e dal resto. La prima considerazione che viene da fare sui dati di quest’anno è: che città hanno ricevuto in eredità i sindaci usciti dall’ultima tornata elettorale? Prendendo in considerazione alcune delle principali città le indicazioni sono abbastanza nette. Sala si trova a gestire l’importante eredità costituita da una città sempre più di caratura internazionale e che si sta completando in tutte le sue dimensioni. Le due sindache pentastellate si trova no in una situazione, evidente anche dalla cronaca, completamente differente: una città in forte crescita e completamento la Appendino, una città ferma al palo, sempre più lontana dalle dinamiche economiche e sociali nazionali, la Raggi. Particolare, la situazione di De Magistris, che con questo nuovo mandato si trova a gestire una città che non regge il ritmo delle altre.
Tre sono le fenomenologie prevalenti che emergono
Per prima cosa il dualismo tra Milano e Roma. Un confronto, infatti, fra le due città è inevitabile. Abbiamo visto come Milano rimane ben salda in vetta alla classifica mentre Roma è bloccata al 21° posto, ma il distacco tra le due città in termini di punteggio aumenta: se, infatti, la distanza tra le due città era di 127 punti lo scorso anno, quest’anno sale a 155. Una forbice che si allarga sempre di più a discapito della romana che non riesce a raggiungere in nessuna delle dimensioni analizzate, tenendo testa a Milano solo per la qualità del proprio capitale umano. Il grafico radar ben evidenzia questa situazione mostrando la distanza delle due città nei diversi ambiti con un’unica dimensione, quella people, in cui – come detto – le due città si equivalgono.
Il rafforzamento del sistema urbano del Nord. Le cinque aree metropolitane più performanti sono del Nord: Milano, Torino, Venezia, Bologna e Torino che si configurano sempre di più come un sistema grazie alla forte crescita dei centri urbani di medie dimensioni come Padova, Parma, Trento, Modena e Ravenna (tutte fra le prime dieci città del rating generale) che fungono da elementi di connessione tra le diverse polarità. Quelle piccole capitali che individuammo già lo scorso anno e le cui performance anche di natura economica sono ai livelli delle grandi città.
Le energie del SUD in movimento. Il Sud è ancora lontano dalla top ten ma la distanza con le altre aree geografica si è ridotta. Cagliari, che è la prima città del meridionale che incontriamo in 54° posizione, è infatti salita rispetto al 2015 di 6 posizioni, grazie ad un miglioramento significativo in diverse aree (people, governance, living e legalità). Ma la città metropolitana sarda non è l’unica del mezzogiorno a crescere, con lei Pescara (+5), Bari (+4), Matera (+12), Lecce (+5), Oristano (+1), Potenza (+2). Appare, inoltre, tra le prime 15 città del Sud una città siciliana: Siracusa, che sale di ben 16 posizioni dall’anno passato superando Palermo e Catania ed esprimendo le migliori performance in indicatori quali la dispersione idrica, l’equilibrio occupazionale di genere, l’accessibilità degli istituti scolastici, la bassa presenza di giornalisti e amministratori minacciati.