Quasi nulla di nuovo sotto il sole di Sicilia. I risultati delle recentissime elezioni hanno qualcosa di paradossale. Se non fosse per l’indiscutibile crescita del Movimento 5 Stelle si potrebbe sostenere che i singoli elementi del puzzle sono rimasti intatti, hanno solo cambiato posizione. Può apparire strano ma è proprio così.
Eppure tutto sembra cambiato. Nelle elezioni del 2012 ha vinto Rosario Crocetta, esponente “estroso” del Partito Democratico e Nello Musumeci – l’attuale vincitore – è stato sconfitto. Mutano gli equilibri e così oggi il centrodestra può intestarsi la Regione siciliana, come cinque anni fa aveva fatto il centrosinistra, in quella strana conta delle regioni che tanto piace alla “comunicazione veloce”.
A ben vedere la realtà è molto più complessa. Ieri il centrodestra era diviso tra Musumeci e Miccichè, oggi è unito in un’unica coalizione. Il centrosinistra è diviso, esattamente come ieri, con una sinistra “radicale” che, per uno strano caso del destino, rappresenta sempre il 6,1% dell’elettorato. Nel 2012 aveva il volto di Giovanna Marano, nel 2017 quello di Claudio Fava. Al di là delle dichiarazioni di rito era e resta una piccola minoranza. Il PD è assolutamente stabile.
Cosa è cambiato allora? È cambiata la collocazione dell’area di centro, quella parte moderata, centrista che prima appoggiava Crocetta e oggi sostiene Musumeci. Si tratta del 10% di elettorato che, forse un po’ cinicamente, spesso decide chi deve vincere. In Sicilia parliamo di Cuffaro e Lombardo, in altre parti del Paese ha, naturalmente, nomi diversi. Ma capita sempre più spesso, soprattutto in elezioni amministrative, di trovare “personalità” che guidano nel tempo liste diverse, si schierano a volta a volta in coalizioni alternative e finiscono per determinare i vincitori dello scontro elettorale.
Quando si alleano con il centro destra si parla della naturale collocazione dei moderati; quando sostengono il centro sinistra si racconta che la sinistra senza una fetta importante del centro non riesce a diventare maggioranza. C’è sempre una motivazione valida perché costoro siano “costretti a governare”, siano vittime di una “coazione a vincere”. E mentre per altri si invoca coerenza a loro basta “sganciarsi” dalla precedente maggioranza qualche mese prima del voto. Bene, la Sicilia è la dimostrazione più evidente di questa forma contemporanea di “gattopardismo” a cui assistiamo ormai rassegnati.
Naturalmente non si può trascurare la cosiddetta questione degli impresentabili. Inutile ripeterne i nomi, sono stati ricordati durante tutta la campagna elettorale. Nessuno si azzarda a quantificarne il contributo elettorale ma non è questo il problema. La vera questione è come partiti e liste civiche selezionano i candidati. Ancora di più in Sicilia, terra per eccellenza di infiltrazioni mafiose. Tutti dovrebbero essere rigorosissimi e, invece, non è così. La coalizione che sostiene Musumeci ne ha candidati troppi, ma gli altri non sono certo immuni da colpe, anche gravi. L’onestà e la correttezza sono valori riscoperti all’indomani di un rinvio a giudizio o di una condanna. Prima, soprattutto quando si compongono le liste, vale solo il consenso. Se è così per valori che dovrebbero essere inderogabili come quelli citati, pensiamo quanto poco possano contare la competenza e la qualità dei gruppi dirigenti.
Inoltre, ascoltando le prime dichiarazioni di Musumeci, c’è davvero da stare poco tranquilli. Sollecitato da una giornalista televisiva sullo stato del bilancio della Regione il neo governatore, invece di manifestare tutta la sua preoccupazione per un disavanzo strutturale che ha portato più e più volte la Sicilia sull’orlo del baratro, rivendica presunti crediti della Regione siciliana verso lo Stato, in forza dell’articolo 37 dello Statuto (l’attribuzione alla Regione del gettito dell’imposta sul reddito degli impianti industriali e commerciali con stabilimenti ubicati nell’Isola).
Mentre il Veneto e la Lombardia rivendicano maggiori competenze e vogliono rinegoziare il “residuo fiscale”, la Sicilia sembra voler avviare un contenzioso con lo Stato per il riconoscimento di presunti crediti che neppure l’autonomismo più radicale oserebbe chiedere. In realtà, come sempre, si tratta di un espediente retorico per “obbligare” lo Stato centrale a coprire “buchi” di bilancio di una Regione autonoma davvero male amministrata.
Qualche settimana fa abbiamo sottolineato come le ragioni dell’elettorato veneto e lombardo vadano prese terribilmente sul serio perché manifestano un disagio reale. Oggi siamo costretti ad assistere alle medesime forze politiche di centrodestra che in Lombardia e in Sicilia utilizzano argomentazioni diametralmente opposte – dalla rivendicazione del rigore della buona amministrazione alla pratica del più sfacciato assistenzialismo mascherato da pretesa autonomista.
Infine, in attesa di leggere con attenzione il rapporto SVIMEZ ieri presentato ufficialmente, segnaliamo un irritante ottimismo nei lanci stampa. Il messaggio veicolato è che l’economia del Mezzogiorno va meglio della media del Paese, nonostante altri indicatori risultino ancora problematici. Il dato su cui tutto si fonda è il seguente: nel 2016 il PIL è cresciuto al Sud dell’1%, più che nel Centro-Nord, dove è stato pari a +0,8%. Peccato che l’arretramento degli ultimi anni sia stato tale per cui, sempre a detta della SVIMEZ, “agli attuali ritmi, recupererà i livelli pre-crisi del 2008, 10 anni dopo il Centro-Nord”.
Per non parlare degli altri indicatori (fuga dei cervelli, riduzione del numero dei residenti, livelli di povertà e diseguaglianza, inadeguatezza del welfare, condizione del mercato del lavoro), tutti assolutamente preoccupanti e, in alcuni casi, drammatici. Questi sono i problemi che attendono il nuovo governatore della Sicilia, altro che contenzioso su crediti verso lo Stato. Purtroppo non c’è spazio per ottimismi di circostanza, Musumeci è atteso da un compito che “fa tremare i polsi”. Ci auguriamo ne sia consapevole. Da parte nostra i migliori auguri di buon lavoro.
Vignetta di copertina: Freccia.