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Questo il quadro attuale dei beni confiscati alle mafie

Stando agli ultimi dati disponibili, quelli di febbraio, sono 23.576 i beni immobili confiscati alle mafie in Italia, con una distribuzione territoriale concentrata in 6 regioni: Sicilia (43,5%), Campania (12,7%), Calabria (12%), Puglia (9,4%), Lazio (7%) e Lombardia (6,8%).

Non si dispone di dati, invece, sul numero di beni effettivamente utilizzati, fatta eccezione per la ricerca di Libera che ha mappato 525 realtà del Terzo settore che di fatto hanno riconvertito i luoghi della malavita in progetti socialmente utili. Il quadro della situazione è il risultato di uno studio presentato recentemente nella sede dell’Acri a Roma, coordinato da Fondazione Con il Sud e costituito dal Forum del Terzo settore, dalla Fondazione Cariplo, Fondazione Cariparo, Fondazione Sicilia e Fondazione Monte di Bologna e Ravenna.

Il numero di aziende confiscate risulta essere 3.585 concentrate nelle regioni succitate, con una prevalenza numerica riscontrata in Campania. Per quanto riguarda le cifre in denaro sottratte alla criminalità organizzata, occorre fare riferimento all’ultimo dato che risale allo scorso anno e che quantifica in 3.487 miliardi di euro quanto recuperato. Viene spontaneo domandarsi qualcosa circa il riutilizzo di somme così alte. Ebbene, in tal senso ci sarebbero dei problemi, secondo quanto dichiarato dai giudici contabili che parlano di «un numero non indifferente di uffici giudiziari che non hanno mai effettuato comunicazioni di provvedimenti di pertinenza del Fug (Fondo unico di giustizia); dal mancato passaggio al Fondo di molte liquidità oggetto di sequestro fino al comportamento degli amministratori giudiziari che non rispondono agli obblighi di rendicontazione»

Lo studio rimarca inoltre una questione di non trascurabile importanza e che fa riferimento a come la mancanza di dati attendibile sia un sintomo di “grave sottovalutazione” a livello istituzionale della rilevanza del tema, benché siano stati destinati 21 milioni di euro nel precedente ciclo della programmazione dei fondi strutturali per i progetti “Regio” e “Sit-Mp”, che erano stati stanziati proprio per consentire un fluido scambio di dati e informazioni sulla confische dei beni.

Lo studio spiega in maniera piuttosto chiara come esista, di base, mancanza di trasparenza, un isolamento piuttosto pronunciato dei Comuni con interventi non incisivi e frammentari. Inoltre, si denota una totale mancanza di strategia e incapacità amministrativa e di tecnica di progettazione.

Per tutti questi motivi, dopo aver presentato lo studio, Fondazione Con il Sud insieme alle altre succitate, ha proposto che subentri un ente pubblico economico all’attuale Anbsc (Agenzia nazionale per amministrazione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata) con maggiori responsabilità e competenze, con sede a Roma e con un Consiglio di amministrazione di nomina pubblica. In questo modo, sarebbe direttamente l’ente a gestire le risorse confiscate e a rilasciare dati precisi.

Proposta che, date le criticità attuali del sistema, si rende saggia e auspicabile.

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Redazione