Presentato il Rapporto Labsus 2016 sull’amministrazione condivisa dei beni comuni. L’avventura è iniziata a Bologna, solo quattro anni fa, con il primo Regolamento sulla collaborazione tra cittadini e amministrazione per la cura e la rigenerazione dei beni comuni urbani. Da quel momento ha preso il via un vero e proprio movimento per l’amministrazione condivisa che si è diffuso in larga parte del Paese. La prima fase è stata dedicata prevalentemente alla definizione degli aspetti giuridici a monte dell’impegno di cittadinanza attiva. Per questo l’attenzione è stata a lungo focalizzata sulla definizione dei Regolamenti comunali. Ormai, messo a punto questo aspetto, ci si può dedicare agli aspetti più operativi e cioè ai patti di collaborazione fra cittadini e amministrazioni.
Come scrive nell’Introduzione al Rapporto Gregorio Arena presidente di Labsus “i patti di collaborazione sono il luogo dove da un lato si esprimono pluralismo e capacità di resilienza, dall’altro si individua l’interesse generale nel caso concreto. Nell’articolare i contenuti di un patto di collaborazione cittadini e amministrazione insieme definiscono cosa è nell’interesse generale della comunità e come perseguirlo, con quali strumenti, mezzi, procedure, etc.. I cittadini diventano in tal modo, insieme con l’amministrazione, un “centro di produzione del diritto” e quel patto di collaborazione, individuando l’interesse generale della comunità nel caso concreto di cura o gestione di un bene comune, diventa fonte del diritto pubblico”.
Di seguito il testo dell’Introduzione. Per consultare il Rapporto nella sua interezza andare al link.
RAPPORTO LABSUS 2016 SULL’AMMINISTRAZIONE CONDIVISA DEI BENI COMUNI
INTRODUZIONE
L’AMMINISTRAZIONE CONDIVISA: DAI REGOLAMENTI AI PATTI di Gregorio Arena
Il Rapporto Labsus 2015 era dedicato al Regolamento per l’amministrazione condivisa dei beni comuni. Questa edizione 2016 è dedicata a sua volta al “motore” del Regolamento, cioè ai patti di collaborazione fra cittadini e amministrazioni, lo strumento giuridico che trasforma le capacità dei cittadini in interventi di cura dei beni comuni.
Il percorso per arrivare a prendersi concretamente cura dei beni comuni si articola infatti in tre passaggi ineludibili, dall’art. 118 ultimo comma della Costituzione, al Regolamento e infine ai patti di collaborazione, in una scala che va dal massimo di generalità e astrattezza (la Costituzione) al massimo di specificità e concretezza (il singolo patto), passando per una fonte normativa i cui contenuti sono sostanzialmente uniformi per tutte le amministrazioni locali, ma in cui si esprime pur sempre l’autonomia regolamentare dei comuni.
Ognuno di questi snodi è indispensabile e l’uno rinvia necessariamente all’altro, in una circolarità di relazioni che a sua volta è una delle caratteristiche principali della sussidiarietà orizzontale.
Senza il Regolamento infatti il principio di sussidiarietà avrebbe continuato ad essere inapplicato, com’era successo dal 2001 al 2014, ma a sua volta il Regolamento è legittimato dall’essere fondato sulla Costituzione.
Senza i patti il Regolamento sarebbe inefficace, ma i patti di collaborazione senza il Regolamento sono per così dire “vulnerabili” perché manca loro quella infrastruttura di principi e regole contenuta nel Regolamento che li protegge e li rende realmente efficaci.
Come si può vedere nelle pagine seguenti ogni patto è diverso dagli altri, perché nonostante che i beni comuni di cui si prendono cura i cittadini attivi siano spesso gli stessi in tutta Italia, quelli che cambiano sono i soggetti che stipulano i patti, cioè appunto i cittadini e le amministrazioni locali: possono infatti sottoscrivere un patto comitati informali di cittadini, soggetti del Terzo settore, imprese, associazioni di migranti, fondazioni, professionisti e così via. Non c’è limite alle possibili combinazioni a geometrie variabili. E poiché l’innovazione consiste nella combinazione inedita di fattori noti, i patti di collaborazione sono un potente fattore di innovazione istituzionale e sociale. Inoltre in un paese come il nostro, ad altissimo tasso di pluralismo territoriale, da un comune all’altro sono diverse le culture, le tradizioni, i problemi da risolvere, le competenze messe in campo…. per questo ogni patto è per così dire “su misura” per la cura di quel particolare bene comune in quel particolare quartiere o paese.
I patti di collaborazione sono il luogo dove può liberamente esprimersi sia quella pluralità di culture e esperienze che costituisce una delle nostre principali caratteristiche nazionali, sia la nostra capacità di resilienza alla crisi, che non è mero adattamento, bensì saper mettere in campo risorse nascoste. I patti sotto questo profilo sono un nuovo spazio, non organizzato stabilmente o in modo duraturo nel tempo, in cui persone diverse si ritrovano, spesso anche in maniera del tutto occasionale, per prendersi cura di un bene comune. Essi in tal modo da un lato risolvono insieme un problema che li riguarda tutti, dall’altro (e soprattutto) ricostruiscono i legami che tengono unita la loro comunità.
Infine, è certamente vero che i patti, come il Regolamento, non sono niente altro che uno strumento per liberare energie che sono già presenti nelle nostre comunità e che chiedono solo di potersi esprimere. E, come tutti gli strumenti, l’unico modo per verificarne l’utilità e l’efficacia consiste nell’usarli, come hanno fatto i cittadini e le amministrazioni che hanno stipulato i patti di cui parliamo in questo Rapporto.
Dal punto di vista teorico, invece, i patti di collaborazione sono una novità molto rilevante per il nostro ordinamento giuridico. L’art. 118, ultimo comma della Costituzione attribuisce infatti ai cittadini attivi non un potere bensì una nuova forma di libertà, responsabile e solidale che essi esercitano quando, sottoscrivendo con l’amministrazione un patto di collaborazione per la cura o la gestione di un bene comune, fanno vivere la Costituzione applicando il principio di sussidiarietà.
In questo senso i patti di collaborazione sono il luogo dove da un lato si esprimono pluralismo e capacità di resilienza, dall’altro si individua l’interesse generale nel caso concreto. Nell’articolare i contenuti di un patto di collaborazione cittadini e amministrazione insieme definiscono cosa è nell’interesse generale della comunità e come perseguirlo, con quali strumenti, mezzi, procedure, etc.. I cittadini diventano in tal modo, insieme con l’amministrazione, un “centro di produzione del diritto” e quel patto di collaborazione, individuando l’interesse generale della comunità nel caso concreto di cura o gestione di un bene comune, diventa fonte del diritto pubblico.