Il dibattito sul Mezzogiorno ha l’andamento di un fiume carsico: a volte emerge con forza e piena visibilità, più spesso si inabissa e sembra scomparire. Ma i problemi restano tutti al loro posto. Il divario tra Centro Nord e Sud negli anni della crisi è cresciuto ulteriormente. Gli indicatori sociali ed economici (povertà, occupazione, disoccupazione, solo per citarne alcuni) continuano a descrivere una situazione assolutamente preoccupante.
Va detto che l’attuale stagione dei Masterplan e dei Patti per il Sud sembra testimoniare una rinnovata attenzione da parte del Governo. In generale, la difficile condizione di oltre un terzo del Paese merita di essere affrontata con assoluta determinazione. Basti pensare alle percentuali relative al lavoro giovanile e femminile per rendersi conto della drammaticità della situazione. Analoga considerazione potrebbe essere fatta sullo stato della pubblica amministrazione o sull’efficienza e l’efficacia dell’impiego dei fondi strutturali.
I periodici rapporti Svimez ci aiutano a conoscere con precisione gli andamenti economici e sociali e a riflettere su cosa fare. Il Rapporto 2016 sull’economia del Mezzogiorno, presentato a Roma qualche giorno fa, fornisce indubbiamente qualche elemento di novità. “Mentre nel 2015 l’economia mondiale ha rallentato, ridimensionando le attese sulla ripresa dell’Italia (…), per il Mezzogiorno è stato un anno positivo, ben oltre le previsioni”, con una crescita del PIL di oltre un punto e un aumento dell’occupazione dell’1,6% . Questi dati confortanti, tuttavia, si spiegano con alcune circostanze congiunturali: “l’annata agraria particolarmente favorevole e il turismo che ha beneficiato dell’esplodere della crisi che ancora sta travagliando la sponda Sud del Mediterraneo”, così come l’accelerazione della spesa pubblica dovuta alla chiusura del periodo di programmazione 2007/2013. Dati positivi, quindi, ma ancora lontani dall’indicare un’inversione di tendenza e l’avvio di un processo di riduzione del differenziale tra il Sud e il resto del Paese.
Di seguito proponiamo la premessa del Rapporto Svimez che fornisce un primo quadro d’insieme, rinviando la trattazione di aspetti specifici a successivi approfondimenti.
PREMESSA
Il Rapporto dello scorso anno ha messo in evidenza i tratti di fondo delle trasformazioni economiche, sociali e demografiche avvenute nelle regioni del Sud del Paese dopo sette anni di recessione ininterrotta. Il tema, quest’anno, è di fornire non solo elementi di lettura della migliore dinamica congiunturale e delle persistenti fragilità del sistema, ma di identificare le condizioni per porre su una più solida base la ripartenza dell’economia meridionale e dell’intero Paese.
Mentre nel 2015 l’economia mondiale ha rallentato, ridimensionando le attese sulla ripresa dell’Italia (che, pur uscendo dalla recessione dei tre anni precedenti, fa segnare performance deboli nel confronto europeo), per il Mezzogiorno è stato un anno positivo, ben oltre le previsioni.
L’uno per cento di incremento di PIL nell’area interrompe sette anni di contrazioni consecutive che avevano prodotto una caduta complessiva di oltre 13 punti. La performance dell’economia meridionale ha dei tratti di eccezionalità, avendo beneficiato di alcune condizioni peculiari, che sul piano tendenziale non è detto si ripetano. In particolare, l’annata agraria particolarmente favorevole e il turismo che ha beneficiato dell’esplodere della crisi che ancora sta travagliando la sponda Sud del Mediterraneo.
Come nella crisi l’epicentro è stato il mercato del lavoro, così in questa circostanza è stata l’occupazione, con l’aumento dell’1,6 per cento, a risultare decisiva per la crescita del prodotto. La dinamica favorevole è stata in parte dovuta alla decontribuzione sulle nuove assunzioni a tutele crescenti, e in parte alla dinamica di alcuni settori – come l’agricoltura e il turismo, appunto – che spiegano anche l’incremento più intenso della componente a termine dell’occupazione.
Ma un fattore particolarmente significativo che ha inciso sulla congiuntura è stata la chiusura del ciclo di programmazione dei Fondi strutturali europei 2007 – 2013, che ha portato a un’accelerazione nella spesa pubblica nella fattispecie di un sensibile incremento degli investimenti pubblici: la spesa europea ha continuato tuttavia ad avere forti caratteri di sostitutività, anche per il ricorso ai progetti “retrospettivi” ai fini di una rendicontazione tutta tesa all’obiettivo del pieno assorbimento delle risorse comunitarie.
Non meraviglia quindi che nel 2016 il PIL meridionale, secondo le nostre previsioni, farà registrare un rallentamento (0,5%, a fronte di una crescita nazionale dello 0,8%), in parte per il venir meno di alcuni “picchi” settoriali e di spesa pubblica per investimenti. Il dato, leggermente migliore rispetto allo 0,3% previsto a luglio, comunque testimonia quanto il Sud sia reattivo al lato della domanda (anch’essa prevista in leggero aumento).
La sfida, dunque, è quella di non lasciare che questa ripartenza del Mezzogiorno conservi i caratteri di eccezionalità, affidandosi a nuove condizioni congiunturali non supportate da precise scelte politiche. Bisogna avere inoltre la consapevolezza che la ripartenza si inserisce nel contesto di una profonda e irrisolta emergenza sociale e di una persistente fragilità strutturale. La crescita recente ha ridotto in misura molto parziale il depauperamento di risorse e del potenziale produttivo provocato dalla crisi, essa è ancora debole e i “picchi” sono concentrati in alcune nicchie produttive. Si confermano i grandi problemi strutturali di competitività legati alla dimensione e alla composizione settoriale. Insomma, per spezzare la lunga spirale di bassa produttività, bassa crescita e dunque minore benessere sarà necessario e per un tempo non breve un’azione particolarmente consapevole, decisa ed efficace.
I dati più recenti, comunque, oltre a segnare il consolidarsi di una non scontata inversione di tendenza – che secondo le nostre previsioni dal 2015 si estenderà al biennio 2016-2017 – hanno una grande importanza: mostrano i tratti di resilienza nei settori produttivi, a testimonianza che la “Grande recessione” ha certamente colpito ma non ha fatto venire meno la capacità del Mezzogiorno di rimanere agganciato, com’è accaduto, pur con fasi alterne, dal dopoguerra ad oggi, allo sviluppo del resto del Paese.
Il problema, oggi, è lo sviluppo economico nazionale, e a questo scopo, a nostro avviso, l’andamento dell’economia del Mezzogiorno rappresenta un fattore decisivo che – come ben evidenzia l’esperienza di questi anni – gioca un ruolo condizionante, sia in negativo che in positivo. In particolare, il favorevole risultato del 2015 è strettamente correlato alla dinamica degli investimenti pubblici rispetto ai quali la “reattività” del Mezzogiorno si è confermata particolarmente significativa. Così evidenziano i moltiplicatori d’impatto e di medio termine sia per quello che riguarda il prodotto che l’occupazione. Pur in un quadro previsionale problematico, crediamo dunque non solo che sia possibile “rilanciare il Paese dall’interno” ma che questa sia un’azione necessaria e di assoluta priorità non solo in considerazione del rallentamento attuale e prospettico dell’economia globale ma anche al fine di realizzare la necessaria operazione di riposizionamento del sistema economico italiano.
Da tempo, segnaliamo che la soluzione dei problemi strutturali dell’economia italiana non verrà da una ripresa internazionale a cui “agganciarsi”, peraltro gravata da pesanti incertezze. Le condizioni e le sfide per la ripartenza del Paese possono trovare risposta solo nel campo dello sviluppo, per il cui avvio è fondamentale ripristinare a scala nazionale proprio il ruolo degli investimenti pubblici, che, a nostro avviso, rappresentano in questa situazione, la più efficace e indispensabile leva di attivazione e di stimolo di quelli privati.
Alcune novità positive vanno segnalate, a partire dalla battaglia in Europa per una maggiore flessibilità, che tuttavia dovrebbe essere portata avanti con l’obiettivo precipuo di rilanciare gli investimenti. Un’azione diretta di rilancio degli investimenti pubblici non è certo incompatibile con altre misure, come ad esempio quelle di riduzione delle tasse, un incentivo alle decisioni di investimento privato, però, che non ha pari efficacia, quanto a capacità di generare reddito, specialmente per il Mezzogiorno.
La sfida, dunque, è quella di una effettiva, forte ripresa degli investimenti che, al Sud, significa vera addizionalità: una condizione essenziale per rendere il Masterplan per il Mezzogiorno e i Patti per il Sud strumenti davvero efficaci, che non si risolvano in una mera ricognizione di opere o in un mera operazione di accelerazione della spesa.
Occorre accentuare i caratteri di strategicità degli interventi, fissare le modalità operative per un reale coordinamento, non solo tra le diverse fonti finanziarie delle politiche di coesione europee e nazionali, ma soprattutto con le politiche generali ordinarie, che finora sono state il vero buco nero delle politiche nel Mezzogiorno.
Accanto al rilancio di una rinnovata politica industriale specifica per il Mezzogiorno, occorre investire in logistica, infrastrutture, energie, territorio, capitale umano, nell’agroalimentare e nella cultura, rovesciando così la perifericità del Sud. Strumenti nuovi come le Zone Economiche Speciali possono contribuire effettivamente a rendere “attraente” il territorio, rilanciando la competitività del Sud. Alcune aree retro portuali e logistiche del Mezzogiorno devono diventare priorità nazionali.
Queste politiche, su cui ci soffermiamo come ogni anno diffusamente nel Rapporto, concorrono e debbono rapportarsi ad alcuni obiettivi di fondo, primo tra tutti quello di ridurre le disuguaglianze, combattendo la povertà, supportando l’esigenza, economica oltre che sociale, di rilanciare la domanda interna, e di pari passo deve marciare la messa a punto di una macchina pubblica che garantisca l’effettiva tutela dei diritti di cittadinanza su tutto il territorio nazionale.