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Reporter senza frontiere: uccisi 74 giornalisti nel 2016

“In battaglia con il taccuino. Così muoiono i soldati della notizia”. Così il quotidiano La Stampa scriveva nel luglio del 2013, all’indomani dell’ennesima uccisione di un reporter di guerra. Ma a distanza di 23 anni quanto è cambiata la situazione?

I giornalisti morti nel 2016 sono in calo rispetto al 2015: 74 quest’anno rispetto ai 101 di quello precedente. Ma è un dato che non consola affatto quello che emerge dal bilancio annuale di Reporter senza frontiere. Il numero di giornalisti assassinati mentre svolgono la loro professione non dovrebbe scendere, ma semplicemente dovrebbe essere pari a zero. Eppure ad oggi il lavoro di chi armato di penna, block notes e macchina fotografica va in giro per il mondo per raccontare all’opinione pubblica ogni genere di notizie, anche le più scomode, è ancora molto pericoloso. La diminuzione del numero di morti nell’anno che volge al termine, infatti, non è dovuto a una maggiore sicurezza per la professione, ma piuttosto dal fatto che molti giornalisti sono dovuti fuggire dai luoghi più pericolosi. E questo rappresenta un duro colpo per l’informazione, come evidenzia anche il rapporto dell’associazione che parla di “sinistra caccia nei confronti della professione”.

«Si tratta tuttavia di un calo che non lascia spazio all’ottimismo», spiega Reporter senza frontiere, «perché è una conseguenza diretta del fatto che numerosi giornalisti si sono visti costretti, nel corso degli ultimi mesi, a fuggire da alcuni Paesi diventati ormai troppo pericolosi, in particolare dalla Siria, dall’Iraq, dalla Libia, dall’Afghanistan, dal Burundi e dallo Yemen».

Ci sono casi poi ancora più allarmanti, dove anche in assenza di guerre e conflitti, i giornalisti sono costretti a tenere la bocca chiusa perché costantemente minacciati, come accade ad esempio in Messico, che ha il triste primato del maggior numero di uccisioni in un Paese di pace (9). In simili contesti, a morire non sono dunque i giornalisti ma il loro diritto di cronaca.

Quanto alle aree devastate da guerre e conflitti, il numero più alto di perdite si registra quest’anno comprensibilmente in Siria (19), seguita dall’Afghanistan(10), dall’Iraq (7) e dallo Yemen (5). L’associazione spiega che si tratta quasi unicamente di reporter locali, dal momento che le grandi testate internazionali sono sempre più restie a inviare i propri giornalisti in territori così pericolosi.

«La professione», ha denunciato Christophe Deloire, segretario generale di Reporter senza frontiere, «è ormai chiaramente nel mirino. I killer uccidono i giornalisti proprio per le funzioni che esercitano. Si tratta di una situazione allarmante, che segna la morte dell’informazione indipendente nelle zone in cui la censura e la propaganda soverchiano tutti le fonti».

Alla luce di tale situazione, Deloire ha lanciato un accorato appello alle Nazioni Unite, affinché “con l’arrivo del nuovo segretario generale Antonio Guterres venga nominato un rappresentante speciale per la protezione dei giornalisti”.

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Redazione