Terza e ultima puntata dedicata alla Relazione annuale al Parlamento per l’anno 2014 presentata il 2 luglio scorso alla Camera dei Deputati dal Presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC) Raffaele Cantone. (clicca qui per leggere la prima e la seconda puntata)
Le conclusioni della Relazione sono dedicate a una riflessione a trecentosessanta gradi sulla corruzione. Cantone da un lato si sofferma sulle nuove forme assunte dalla corruzione e dall’altro indica i contorni di una efficace strategia di contrasto fondata sul contemporaneo intervento sui fronti della repressione, della prevenzione e del cambiamento culturale.
“Nell’avviarmi alle conclusioni, non posso non dedicare qualche parola al protagonista vero di tutta la relazione, sia pure, fino a questo momento, solo evocato; la corruzione.
E’ noto che la corruzione dal punto di vista penale si struttura come un tipico reato- contratto caratterizzato da prestazioni sinallagmatiche; un pubblico agente dà o promette un atto o, persino, la sua funzione in cambio della dazione o della promessa di un’utilità.
Nel linguaggio comune, la corruzione è un concetto più ampio, direi di genere, che si riferisce a un sistema illecito capace di deviare il regolare svolgimento di una pubblica attività.
Le indagini dell’ultimo periodo della magistratura, che va ringraziata per il grande impegno quotidianamente profuso, hanno evidenziato come la corruzione sia divenuto un fenomeno sistemico, che alberga soprattutto negli appalti pubblici ma di cui non sono scevri altri settori e ambiti dell’amministrazione, non solo quelli per certi versi “scontati” delle concessioni e autorizzazioni, ma anche altri “inattesi”, quali quelli delle attività cd sociali affidate al Terzo settore.
La corruzione è, inoltre, cambiata nella sua struttura; essa è sempre più raramente caratterizzata dal rapporto bilaterale fra chi dà e chi riceve ma fa capo e promana da organizzazioni, in qualche caso di tipo mafioso, nel cui ambito si ritrovano, con interessi comuni, pubblici funzionari, imprenditori e faccendieri; un “sistema gelatinoso” in cui si fa persino fatica a dire chi è il corrotto e chi il corruttore.
La corruzione è purtroppo un fenomeno diffuso e questo non tanto e non solo perché lo attestano classifiche internazionali, soprattutto sulla percezione della stessa da parte dei cittadini (classifiche che non sempre andrebbero prese come oro colato), o perché avrebbe un impatto sull’economia esplicitato da cifre tanto mirabolanti quanto di incerta provenienza (i famosi sessanta miliardi di cui nessuno rivendica la paternità), quanto perché è proprio l’esperienza quotidiana ed empirica che purtroppo lo dimostra.
Infine, la corruzione è stata un fenomeno per troppo tempo sottovalutato; persino in relazioni di organismi pubblici di pochi anni fa si contestava la sua esistenza e la si attribuiva, come spesso accade, a media capziosi e tendenziosi.
Oggi, la sottovalutazione è almeno in parte superata e si è consapevoli che i danni che essa arreca non si fermano al singolo appalto o al singolo atto o comportamento ma hanno effetti sociali ampi, minano la fiducia dei cittadini nelle Istituzioni, alterano il gioco democratico, distorcono la concorrenza, allontanano gli investimenti e finiscono persino per essere causa della fuga dei cervelli.
E di questa maggiore consapevolezza bisogna ringraziare il Presidente della Repubblica che, fin dal discorso di insediamento, non ha mai mancato di rimarcare la pervasività e la dannosità di questo vero e proprio tumore sociale e Papa Francesco, che è arrivato ad affermare che “la corruzione è più grave del peccato e che mentre quest’ultimo può essere perdonato, quella non è nemmeno perdonabile”.
Queste considerazioni sulla gravità e complessità del fenomeno consentono di affermare con chiarezza che la corruzione non può essere affrontata in modo unilaterale ma richiede interventi plurimi e contestuali; una repressione che funzioni, una prevenzione capace di inserire nel sistema gli anticorpi e un cambiamento culturale che comporti una maggiore consapevolezza dei cittadini.
A noi, come detto, spetta di occuparci di prevenzione ma, va detto con estrema chiarezza – e non è un modo di “mettere le mani avanti” o provare a deresponsabilizzarci – che a noi spetta occuparci solo di un pezzo di essa, perché ci sono molti altri interventi che finiscono per svolgere una funzione preventiva e che dipendono da soggetti diversi; una burocrazia meno invasiva e più efficiente, una politica onesta, autorevole e credibile, un’impresa, che così come ha fatto nella lotta alle mafie, scelga di stare dalla parte giusta.
Il nostro compito resta ovviamente molto impegnativo e gli ambiti che ci sono stati affidati fondamentali per limitare la corruzione, ma si tratta di strumenti che hanno bisogno inevitabilmente di tempo e di collaborazione istituzionale, perché nessuno deve pensare che siamo portatori di ricette miracolistiche o salvifiche.
L’Autorità ha provato in questo anno trascorso a mettere in campo molte azioni; la sua presenza non solo non è passata inosservata, ma ha goduto di un’ampia esposizione mediatica. Ci aspettano nel prossimo periodo sfide da far tremare i polsi; la legge delega per riscrivere il codice degli appalti, approvata al Senato senza nessun voto contrario, recepisce le ultime direttive comunitarie foriere di una nuova politica degli appalti, e scommette moltissimo sull’Autorità a cui attribuisce poteri di regolazione e di controllo molto significativi, tanto da essere indicata come il futuro arbitro del sistema. Considero il voto del Senato una grande soddisfazione e in qualche modo anche un riconoscimento quantomeno sul piano della credibilità per quanto provato a fare; posso promettere, a nome non solo personale, che se quell’investitura definitiva ci sarà, raccoglieremo la sfida fino in fondo, assumendoci l’enorme responsabilità che essa comporta”. (…)