Il 7 e 8 ottobre 2015 a Roma, presso la Residenza di Ripetta, ha avuto luogo la seconda conferenza nazionale sulle emergenze e le opportunità nella gestione del ciclo dei rifiuti, organizzata da Editoriale La Nuova Ecologia, Legambiente e Kyoto Club, con la partnership del COOU, Consorzio obbligatorio oli usati.
Dopo molti anni caratterizzati dall’emergenza su larga parte del territorio italiano, il ciclo dei rifiuti è a una svolta. Secondo Legambiente la filiera del riciclaggio dell’organico batte l’incenerimento su tutti i fronti: fa crescere l’occupazione, diminuisce i costi di realizzazione e gestione degli impianti, fa bene all’ambiente ma anche alle tasche degli italiani. “L’Italia può diventare leader dell’economia circolare europea, ma servono politiche governative di sostegno alla filiera del riciclo e del riuso, non nuovi inceneritori”.
Più posti di lavoro, minori costi per la realizzazione degli impianti, minori costi di conferimento e nessun onere per lo smaltimento dei residui. Il confronto effettuato dall’istituto di ricerca Meriam Research su due imprese del ciclo dei rifiuti, una che gestisce un impianto di termovalorizzazione di nuova costruzione e una che cura un impianto di compostaggio e digestione anaerobica, non lascia spazio ai dubbi: ad ogni occupato nell’impianto di incenerimento corrispondono tre occupati in quello di compostaggio; gli oneri finanziari al servizio dell’investimento per la costruzione del termovalorizzatore (400 milioni di euro) sono molti rilevanti (15 milioni di euro annui) e assorbono metà del risultato economico lordo; il costo di conferimento sopportato dalle amministrazioni locali per tonnellata conferita è mediamente di 103 euro per l’incenerimento (e senza il contributo dei certificati verdi inevitabilmente il costo di conferimento crescerebbe almeno sino a 115 euro), e di 83 euro per il compostaggio. Inoltre, gli oneri che la società che gestisce l’inceneritore deve sostenere per lo smaltimento di scorie (pari al 22%) e le acque di risulta ammontano a 9 mln di euro.
E questo è solo un esempio delle economie da realizzare. Di seguito proponiamo ai nostri lettori il testo integrale del “Manifesto dei comuni e dei cittadini ricicloni” che traccia le linee di azione per liberare l’Italia dall’emergenza rifiuti e per dare corpo a un intervento strategico nella logica dell’economia circolare.
Per un’Italia rifiuti free
Per un’economia circolare made in Italy
In Italia, l’esperienza avanzata e virtuosa di 1.500 Comuni Ricicloni e di filiere di riciclo e riuso internazionalmente riconosciuti, coesiste con una gestione dei rifiuti urbani novecentesca, troppo legata all’uso della discarica, agli smaltimenti indifferenziati, all’inadeguatezza delle politiche di prevenzione, di trattamento e riciclo, alla mancata separazione dei rifiuti speciali o pericolosi, una gestione troppo spesso permeabile alla corruzione, alle infiltrazioni delle ecomafie e della criminalità ambientale.
Oggi l’Italia è in grado di lasciarsi alle spalle le croniche emergenze e i conseguenti disastri ambientali. Sono infatti sempre più numerose le esperienze di gestione sostenibile dei rifiuti fondate su raccolte differenziate porta a porta, riciclaggio, sistemi di tariffazione puntuale, riuso e politiche locali di prevenzione. Si sono create nuove opportunità ambientali, economiche, sociali e l’innovazione impiantistica della valorizzazione dell’organico, degli ecodistretti e delle cosiddette fabbriche dei materiali rende possibile la massimizzazione del riciclaggio, anche delle frazioni fino a oggi avviate a incenerimento e smaltimento. Grazie all’innovazione gestionale e impiantistica oggi è quindi possibile uscire dall’era degli impianti di smaltimento.
Come si allontana lo spettro dell’emergenza che grava ancora su diversi territori? Come si completa la rivoluzione dei rifiuti? Lo si fa replicando le buone pratiche di gestione su tutto il territorio nazionale, costruendo tanti impianti finalizzati alle attività di riciclaggio e riuso, facendo diventare il ciclo integrato dei rifiuti gerarchico anche sotto il profilo dei costi: serve un nuovo sistema di incentivi e disincentivi per fare in modo che la prevenzione e il riciclo siano più convenienti, anche economicamente, rispetto al recupero energetico e allo smaltimento in discarica.
Per ridurre gli smaltimenti illegali di rifiuti, speciali e non, poi deve essere completata la rete impiantistica ed è fondamentale aumentare la qualità e l’efficienza del sistema dei controlli ambientali, ancora troppo a macchia di leopardo sul territorio nazionale.
Dieci proposte per un’Italia libera dall’emergenza rifiuti
Per disincentivare l’uso della discarica serve utilizzare la leva economica per imporre un aumento dei costi di conferimento. Il governo e il parlamento italiano dovrebbero modificare la legge 549 del 28 dicembre 1995 che ha istituito il tributo speciale per lo smaltimento in discarica (la cosiddetta ecotassa regionale) trasformando l’attuale limite massimo di 25 euro per tonnellata in una soglia minima di 50 euro per tonnellata, con sconti progressivi per i Comuni in base a superamento delle percentuali di raccolta differenziata secondo un criterio di proporzionalità che premi le amministrazioni più virtuose.
Oggi solo il 20% dei proventi dell’ecotassa viene utilizzata per finalità ambientali e solo una parte di questi sono destinati al ciclo dei rifiuti. La nuova ecotassa dovrebbe prevedere che il 100% del gettito dell’ecotassa affluisca in un fondo regionale che va finalizzato con criteri ben precisi (oggi questo non è previsto). Si dovrebbe utilizzare il 50% di questo fondo per il sostegno alla filiera degli acquisti verdi e del Green Public Procurement (GPP) e l‘altro 50% per la promozione delle politiche di prevenzione e riuso, di diffusione delle raccolte differenziate domiciliari secco/umido e della loro qualità finalizzata al riciclaggio anche mediante campagne di informazione e sensibilizzazione, per le bonifiche dei siti inquinati, per il finanziamento delle agenzie regionali per l’ambiente e per la gestione delle aree naturali protette (escludendo qualsiasi ipotesi di finanziamento al recupero energetico, previsto invece dalla legge istitutiva dell’ecotassa ancora oggi vigente).
Nella logica di aumentare il costo di conferimento della discarica facendo leva sull’ecotassa è fondamentale che venga scongiurata l’ipotesi di prorogare i termini temporali entro cui raggiungere gli obiettivi di raccolta differenziata finalizzata al riciclaggio. Se venisse approvata la proroga sugli obiettivi di raccolta differenziata, le multe che dovrebbero pagare i Comuni inadempienti verrebbero meno per i prossimi anni. Insomma si premierebbe chi non rispetta le legge e sarebbe una vera beffa per i Comuni virtuosi che hanno già raggiunto l’obiettivo del 65% posto dal d.lgs. 152/2006 al 31 dicembre 2102.
Negli ultimi 20 anni, la combustione dei rifiuti è stata ampiamente incentivata rispetto ad altre forme di gestione. Nonostante l’Europa indicasse di perseguire la prevenzione dei rifiuti e il riciclaggio prima del recupero energetico, queste due opzioni non hanno mai avuto lo stesso trattamento di favore riservato invece alla combustione. Per questo si deve:
I cittadini che differenziano e i Comuni che attivano servizio di raccolta moderni non devono essere penalizzati da costi di trasporto elevati per raggiungere impianti di riciclo! È per questo che è urgente completare in tutte le Regioni il quadro impiantistico per riciclare la raccolta differenziata e per avviare alla rigenerazione e al riuso i prodotti che possono essere reimmessi sul mercato. In tutte le regioni devono essere attivi centri di raccolta (con annessi centri di riuso), impianti per il compostaggio e la digestione anaerobica dei rifiuti organici, impianti per la valorizzazione spinta delle principali raccolte differenziate e per il trattamento del residuo, massimizzandone il riciclo (fabbriche dei materiali) almeno su scala di macroregioni. In questa logica è fondamentale normare in tempi celeri la filiera del riuso e della rigenerazione che prenderà sempre più piede sul territorio nazionale, per le sue importanti implicazioni ambientali, sociali e occupazionali.
Per prevenire la produzione dei rifiuti, l’unico criterio da adottare è quello previsto dal principio europeo “chi inquina paga” e della responsabilità condivisa lungo l’intero ciclo di vita dei prodotti. Questo deve valere per tutte le utenze, domestiche e produttive, che producono rifiuti. Chi produce meno rifiuti deve essere premiato ed è per questo che si deve adottare un sistema di tariffazione esclusivamente puntuale. La nuova tassazione a carico delle famiglie e delle aziende deve essere equa e premiare i comportamenti virtuosi e non aggravare ulteriormente il peso fiscale sugli italiani. Il ministero dell’Ambiente deve approvare il decreto sulla tariffazione puntuale previsto dalla legge di stabilità approvata nel dicembre 2013. Il nuovo tributo deve essere calcolato solo – come già avviene efficacemente in centinaia di Comuni – sulla effettiva produzione di rifiuti indifferenziati residui (determinabile secondo peso, volume o numero dei prelievi dei sacchi o bidoni), permettendo alle utenze più virtuose di pagare meno, sganciandolo dalla quota relativa ai cosiddetti servizi indivisibili e garantendo la copertura totale dei costi del servizio.
In Italia la scarsa fiducia dei cittadini nelle istituzioni e l’inadeguata trasparenza dei processi decisionali sono spesso tra i motivi alla base delle proteste quando c’è da costruire un impianto, anche se utile alla filiera del riciclaggio per ridurre le quantità avviate a smaltimento. Per superare questa impasse, serve approvare una legge nazionale sul dibattito pubblico sul modello francese che faciliti il percorso decisionale e garantisca, prima della decisione finale di approvazione del progetto, la corretta informazione, la discussione del progetto attraverso iniziative pubbliche stabilendo adeguate regole di partecipazione e la debita considerazione delle osservazioni emerse da parte di cittadini e portatori di interesse diffuso.
Dopo il referendum abrogativo sui controlli ambientali del 1993, il nostro Paese si è dotato di un sistema di Agenzie regionali e provinciali per la protezione dell’ambiente. Negli anni la rete dei controlli si è andata strutturando in maniera non omogenea sul territorio nazionale, con alcuni casi di eccellenza e altri con maggiori criticità. Per migliorare il sistema dei controlli ambientali nel nostro Paese è importante diffondere le migliori esperienze già messe in pratica; per procedere ad un rafforzamento complessivo della rete nazionale dei monitoraggi è necessaria anche una ferma volontà politica da parte del Governo e delle Regioni italiane. Il periodo di crisi non aiuta, ma vanno trovate nuove risorse da investire in personale, strumenti di analisi e attività di formazione, dando priorità a quelle realtà che mostrano evidenti ritardi e maggiori criticità. Occorre approvare al più presto il disegno di legge in discussione in Parlamento per potenziare il sistema dei controlli ambientali con un rafforzamento complessivo della rete nazionale Ispra-Arpa di controllo e monitoraggio.
Negli ultimi 20 anni sono stati diversi i territori oggetto di commissariamento per l’emergenza rifiuti. L’unico risultato certo di queste esperienza è stato un mix di sperpero di denaro pubblico, deresponsabilizzazione degli enti locali, aumento delle tensioni sociali per le decisioni prese dall’alto e, in alcuni casi, di vere e proprie illegalità. In alcune Regioni ancora in emergenza negli ultimi mesi si è ancora ragionato della “soluzione” del commissariamento. La storia del nostro Paese degli ultimi decenni dimostra l’assoluta insensatezza di questo strumento, che va evitato nel modo più assoluto.