Vale la pena leggere con attenzione il recente position paper delle ACLI sul tema “Il Terzo settore, il percorso della riforma e l’urgenza di una nuova stagione della democrazia”, come consiglia l’autorevolezza della fonte (il documento è stato elaborato dal Dipartimento terzo settore dell’associazione e approvato dalla presidenza nazionale) e l’impegnativa analisi di scenario proposta.
Il tono complessivo è espresso con grande efficacia dalla citazione di apertura di J.M. Keynes: “…quel che più conta è non sovrastimare l’importanza del problema economico, o sacrificare alle sue presunte necessità altre materie di maggiore e più duraturo significato. L’economia deve rimanere una materia per specialisti, come l’odontoiatria. Sarebbe davvero magnifico se gli economisti riuscissero a pensarsi come una categoria di persone utili e competenti: come i dentisti, appunto”.
Nell’epoca del predominio della dimensione economica è quanto mai necessario, infatti, ricordare che altri sono i fattori che debbono orientare le nostre scelte. Non a caso il documento si apre con un forte riferimento all’inequità sociale, civile, ambientale e alla crisi della democrazia. Per combattere queste criticità il Terzo settore è chiamato a dar fondo alle proprie riserve valoriali e d’esperienza “per riconvocare i cittadini alla sovranità di sé stessi e della comunità, per ritessere quella trama quotidiana e popolare della democrazia che oggi si è lacerata”.
Da questi presupposti prendono le mosse le proposte per i decreti attuativi della Riforma del Terzo settore. Opportunamente le ACLI ricordano che uno degli scopi di fondo della Riforma consiste nel chiarire “che cosa sia il Terzo settore e delimitarne bene i confini” e nel semplificare burocrazie e adempimenti. Bisogna mantenere la barra dritta rispetto a queste scelte iniziali evitando, come spesso accade, che i decreti attuativi finiscano per appesantire norme e procedure. Inoltre è necessario promuovere il Terzo settore premiando partecipazione e democrazia.
In altre parole, se da un lato è necessario essere coerenti e rigorosi nel rispetto dei principi generali, dall’altro non si devono mai dimenticare caratteristiche e articolazioni del Terzo settore, evitando nuovi e pesanti oneri che ne pregiudichino lo sviluppo e la concreta operatività.
Infine le ACLI invitano a riflettere su alcuni temi cruciali quali i rapporti di lavoro nel Terzo settore, la ricostruzione della cosa pubblica nella sua dimensione sociale, il tema della riforma del welfare “da interpretare come strategia di sviluppo sociale”, l’esigenza di una autoregolamentazione del Terzo Settore.
Di seguito proponiamo ai lettori di Felicità Pubblica la parte introduttiva del documento rinviando la consultazione del testo integrale cliccando qui..
IL TERZO SETTORE
IL PERCORSO DELLA RIFORMA E L’URGENZA DI UNA NUOVA STAGIONE DELLA DEMOCRAZIA
Analisi del contesto
L’inequità alla radice della crisi, la crisi della democrazia alla radice dell’inequità
Papa Francesco sostiene, a ragione, che “l’inequità è la radice dei mali sociali” (Evangelii Gaudium 202); inequità che è sociale e ambientale.
Nel dopoguerra, fu il desiderio popolare di una vita migliore a far da volano allo sviluppo, nonché al progetto europeo. Senza questo desiderio, la meta di un benessere – che oggi vorremmo equo e sostenibile – cessa di essere un fine ultimo comune, e il tutto si sgonfia.
Il fu “ceto medio” da una quindicina d’anni avverte la minaccia di impoverirsi; per un lavoro precario o povero, per la non autosufficienza di un familiare, per una separazione o per la fatica del doppio carico genitori anziani-figli piccoli ed ha cominciato ad attivare strategie di futuro recessive testimoniate da scelte sempre più orientate a non fare figli o farne meno, ad andarsene più tardi di casa o a tornarci magari con i propri figli.
Eppure viviamo in un mondo nel quale negli ultimi 50 anni è praticamente raddoppiata la ricchezza pro-capite globale, pur essendo la popolazione anch’essa raddoppiata. Il primo problema è l’esplosione delle diseguaglianze, che vedono il benessere sempre meno accomunante e sempre più accumulato nelle mani di pochissimi.
Il rapporto Oxfam ci raccontava un anno fa di 62 persone che detenevano la stessa ricchezza della metà più povera del Pianeta. Oggi, quelle persone sono diventate solo 8 e la ricchezza che detengono è sempre la stessa della metà più povera del pianeta, ossia 3,6 miliardi di persone. Solo in Italia l’1% della popolazione detiene il 25% della ricchezza.
Il secondo problema è che oggi parte di quella ricchezza è creata indebitandoci con il futuro, sul lavoro e sulle risorse naturali dei nostri nipoti (debito globale, pubblico e privato, oltre il 225% del Pil). Stiamo vivendo prendendo in prestito e giocando d’azzardo con il mondo che erediteranno i nostri figli. Col rischio che l’economia di mercato, che ha bisogno di meno poveri, arretri a favore di una economia dell’azzardo, che invece ha bisogno di poveri perché si nutre di disperazione.
Ma alla radice dell’inequità, che è insieme sociale, civile ed ambientale, c’è la crisi della democrazia, sempre più ristretta alla sola, pur importante, dinamica elettorale, sempre più in difficoltà: nella propria esistenza materiale, cioè nella capacità di concretizzare diritti, distribuire benessere, lavoro e potere; nella propria vocazione educativa ed etica, di dibattito e dialogo sempre aperto, popolare, sul senso dell’essere tutti insieme comunità di destino, sul futuro che vogliamo e sulle regole comuni; nella propria dimensione partecipativa, del chiamare tutti, nelle proprie differenze, ad essere e sentirsi e appartenersi fattivamente, laboriosamente gli uni agli altri come popolo.
La sfida: riconvocare i cittadini alla loro sovranità quotidiana
Il Terzo settore non è il primo, perché tutti i settori promuovono il progresso materiale e spirituale dell’intera società, ma le sue esperienze sono determinanti per riconvocare i cittadini alla sovranità di sé stessi e della comunità, per ritessere quella trama quotidiana e popolare della democrazia che oggi si è lacerata. Infatti assistiamo alla crescita di un clima di disaffezione civile, dove dimensioni di impoverimento rischiano di mescolarsi a esistenze sempre più anonime, in un mix di frammentazione e imbarbarimento delle relazioni quotidiane e spesso familiari. Il ruolo del Terzo settore è chiamare fattivamente tutti alla propria coscienza e al proprio agire, per provare insieme a rispondere a tre grandi questioni che si alimentano reciprocamente quasi a comporre tre dimensioni di una stessa crisi della democrazia.
LA NUOVA QUESTIONE MORALE
Se un tempo la questione morale s’incarnava nell’occupazione della società da parte della politica, oggi si sostanzia in forme diverse, forse addirittura come occupazione della politica da parte della società di pochi, coloro, cioè, che insieme alla ricchezza hanno accumulato potere e rendita di potere. Siamo un Paese (ma ci domandiamo se il problema è solo del nostro Paese) dove contano troppo le conoscenze, le protezioni, dove i legami spesso non sono praticati per rendere liberi, ma per dominare. Lo stesso ‘donare’ viene spesso manipolato in una logica di affiliazione e subordinazione delle persone.
Il Terzo settore più di altri può parlare con le comunità e con i cittadini per chiedere una rinascita della coscienza civile e del senso civico, ma anche ad esso si (ci) impone di fare i conti con il tema della trasparenza, della legalità e dell’eticità.
L’INEDITA QUESTIONE SOCIALE
La nuova questione sociale è proprio questo mix di frammentazione e ingiustizia. Di diseguaglianze, ma non solo di una cattiva distribuzione della ricchezza, anche di una sua sempre meno etica gestione e di una sua stessa concezione insensata, da valutarsi solo in termini di prezzo e di Pil, e non di Bes (benessere equo e sostenibile). Dimentichi che quando tutto ha un prezzo niente ha più valore.
Inoltre occorre fare molta attenzione al fatto che non solo l’ingiustizia crea sofferenza, ma la sofferenza stessa prima o poi promuove ingiustizia. Se non sussiste in una società una capacità di intercettare e trattare la sofferenza, prima o poi questa lascia in eredità una escalation di disagio e violenza repressa.
LA VECCHIA QUESTIONE POLITICA
Serve animare un quotidiano e popolare “sciopero alla rovescia”. Rievocando le esperienze di Danilo Dolci in Sicilia, o il biennio 1950-51 del sindacato, richiamiamo l’esperienza degli scioperi alla rovescia, dove lavoratori e cittadini, per rivendicare diritti e la promozione di beni comuni, invece di astenersi dal lavoro, si mettevano a lavorare di più per fare qualcosa di nuovo, per prendersi la loro sovranità democratica nel e con il lavoro, nella società. Il compianto Vittorio Foa ricorda di aver imparato così che “il modo migliore per ottenere qualcosa è cominciare a costruirla”.
Il Terzo settore è nato sicuramente con questo DNA. Oggi, però, la sua crescita quantitativa, professionale e gestionale, sconta il rischio che ci si blocchi talvolta nelle necessità del fare e gestire. Abbiamo spesso smesso di chiedere, di interrogare non solo le istituzioni, ma gli stessi cittadini, le comunità. Interpretare un ruolo politico sarà sempre meno vantare numeri e sempre più animare partecipazione diffusa e puntuale sui problemi e sulle proposte partendo dalle esperienze realizzate, come del resto testimonia proprio il fiorire di alleanze e campagne specifiche, in primis quella contro la povertà assoluta.