Innovazione sociale

Rigenerare le città creando comunità (prima parte)

Il tema della rigenerazione urbana si intreccia indissolubilmente con le strategie di riqualificazione delle periferie e, soprattutto, con la ri-nascita del “senso di comunità”. Ma quali sono, concretamente, le esperienze in grado di testimoniare questa connessione?

Suggestioni interessanti in merito provengono dal terzo Quaderno della collana di Legacoop e Legambiente dedicata alle cooperative di comunità. Dopo aver affrontato le questioni relative ai “beni comuni” e alle “aree interne”, un nutrito gruppo di esperti – coordinati da Enrico Fontana e Carlo Andorlini – concentra l’attenzione sulla rigenerazione urbana, con un ampio studio dal titolo “Rigenerare le città. Periferie e non solo. Numeri proposte e strumenti per intervenire nelle grandi aree urbane. Creando comunità”.

Nell’incipit della premessa curata da Enrico Fontana – componente la segreteria nazionale di Legambiente e responsabile del gruppo di lavoro sull’Economia civile – si legge: “Spazi ed edifici abbandonati. Parchi e giardini pubblici in condizioni di degrado. Quartieri dormitorio e cementificazione. Assenza di servizi adeguati – da quelli sociali alla mobilità – e di luoghi d’incontro, soprattutto per i più giovani. Chiusura di attività culturali. Scarse opportunità d’impresa e di lavoro. Sono immagini che ci raccontano, purtroppo spesso, lo stato di salute delle nostre città, a cominciare dalle grandi aree urbane, e le condizioni di vita di chi le abita. Nelle periferie ma non solo. È per reagire a questo progressivo declino, accelerato dalla crisi economica dopo gli anni del boom edilizio, che si stanno moltiplicando, in Italia e a livello internazionale, studi, progetti, iniziative che hanno come parola d’ordine la rigenerazione urbana. (…) Oggi, a promuovere e praticare quasi ovunque percorsi e progetti di rigenerazione, dai singoli edifici ai quartieri, sono soprattutto i cittadini: comitati spontanei, associazioni, cooperative si ritrovano insieme per reagire a situazioni di degrado o a rischi di speculazione”.

Ed è proprio su alcune storie esemplari di cittadini, comitati spontanei, associazioni e cooperative che vorremmo focalizzare l’attenzione per comprendere meglio come la partecipazione e il rinnovato senso di comunità si possano tradurre in iniziative concrete per il riuso e la riqualificazione di parti di città vuote o abbandonate. Gli esempi proposti da Enrico Fontana e Andrea Poggio, nel capitolo dal titolo “Produrre comunità”, risultano assolutamente illuminanti e forniscono stimoli utili per chiunque intervenga in contesti urbani: un cinema chiuso da anni nel centro di una città, un quartiere di case popolari, un impianto sportivo abbandonato diventano terreno di sperimentazione di soluzioni di innovazione sociale, caratterizzate appunto dalla comune volontà di “produrre comunità”. Oppure, come avremo modo di vedere la prossima settimana, nella seconda parte di questo approfondimento, i nuovi servizi condominiali e gli interventi di animazione in quartieri “problematici” testimoniano l’esplicita volontà di “promuovere il cambiamento attraverso il protagonismo diretto dei cittadini”.

Produrre comunità di Enrico Fontana (segreteria nazionale Legambiente, responsabile Economia civile) e Andrea Poggio (segreteria nazionale Legambiente, responsabile Mobilità sostenibile e stili di vita).

Prima parte

Progetti partecipativi, reti associative, social street, condomini green, cooperative di comunità. Le forme e i luoghi possono essere molto diversi, ma il principio è sostanzialmente lo stesso: nelle aree urbane, in periferia come nei quartieri centrali, la vera sfida da vincere è, prima ancora del riuso degli spazi vuoti o abbandonati, quella di produrre un nuovo senso di appartenenza ad una comunità. Smarriti o fortemente logorati gli antichi vincoli identitari – come capita sempre più spesso nei centri storici –, schiacciate da nuove criticità – a cominciare dall’impatto dei flussi migratori – le relazioni sociali già difficili nelle periferie più degradate, è forte e diffusa l’esigenza di intrecciare nuovi legami, capaci di far emergere il protagonismo dei cittadini. Gli esempi, come vedremo in questa rapida carrellata attraverso il paese, fortunatamente non mancano. Semmai c’è da riflettere, e lavorare molto, sul ruolo che, in questa stagione complessa della vita sociale ed economica, possono avere le istituzioni pubbliche, a cominciare dalle amministrazioni locali, spesso in grande sofferenza, anche di credibilità, a cui viene richiesto uno sforzo importante di indirizzo, promozione e accompagnamento.

Parola d’ordine: cooperare

All’origine c’è la storia di una chiusura, quella di un cinema storico di Perugia, il Modernissimo d’essai. Una lunga stagione di abbandono, durata ben 14 anni, che si è felicemente interrotta grazie a un progetto che ha visto la partecipazione attiva dei cittadini, chiamati a sostenere anche finanziariamente la riapertura della sala e a diventare soci della cooperativa. Anonima Impresa Sociale, questo il nome scelto dai quattro giovani fondatori, è nata così nel 2014 e gestisce il Postmodernissimo, completamente restaurato, con tre sale per le proiezioni, un bar-bistrot, un spazio per gallerie d’arte, la possibilità di ospitare concerti e performance musicali, grazie anche ad una grande hall multifunzionale, la prossima realizzazione di una libreria e di un negozio dedicato al cinema. Insomma, una vera e propria industria culturale che ha nell’assemblea dei soci – oltre 50, di cui 4 lavoratori e gli altri finanziatori, con quote da 100 a un massimo di 5.000 euro – l’azionista di riferimento.

Al progetto è stata dedicata una pluralità di strumenti, tutti all’insegna della partecipazione. Un esempio concreto è quello della campagna di crowfunding necessaria per completare gli allestimenti delle sale: lanciata nel 2014, insieme alla nascita della cooperativa, ha visto l’adesione di oltre 700 persone, con donazioni che sono andate a 1 a 1.000 euro. Anche grazie a queste risorse, insieme a quelle investite nel capitale sociale della cooperativa dai soci promotori, a quelle dei soci finanziatori, ai finanziamenti concessi da Banca Etica e dalla Regione Umbria, è stato possibile raccogliere 300 mila euro per la ristrutturazione dell’immobile e l’acquisto delle nuove attrezzature, dalle poltrone ai proiettori.

Un mix di risorse pubbliche e private gestite in assoluta trasparenza, fino al punto di aprire, durante i lavori, un ufficio per il pubblico e di lanciare, in contemporanea, un sito internet dedicato al progetto, www.postmodernissimo.com, intorno al quale si è raccolta una community di oltre 5.000 persone. Oggi, con la programmazione in corso, si svolgono assemblee periodiche degli spettatori, nelle quali soci e sostenitori possono conoscere i dati sulle attività in corso, discutere della programmazione, in una parola vivere il Postmodernissimo come un vero spazio di comunità, intorno al quale è rinato un intero quartiere, grazie ad altre iniziative imprenditoriali, culturali e associative.

La nascita di una cooperativa di comunità è uno degli obiettivi principali anche del progetto Pilastro 2016, uno degli insediamenti storici di case popolari nel capoluogo dell’Emilia Romagna, segnato anche nell’immaginario collettivo come un quartiere dormitorio, un luogo di abbandono e di degrado. Lanciato nel 2014 dall’amministrazione comunale, con il contributo della regione, il nuovo Pilastro vede oggi in campo una pluralità di strumenti e di attori. A cominciare da Mastro Pilastro, il servizio coordinato dalla cooperativa Camelot, che viene gestito da un gruppo di abitanti del quartiere, dai 18 ai 30 anni, selezionati tra i giovani in cerca di lavoro. Mastro Pilastro si occupa di consegne a domicilio di medicine e spesa, pulizie nelle abitazioni, piccole manutenzioni e traslochi, montaggio e smontaggio di mobili, cura del verde, ma anche di organizzare passeggiate nel quartiere. Grazie alle iniziative sviluppate con il progetto, il Pilastro è un luogo vissuto e raccontato dai cittadini attraverso un blog – pilastro2016.wordpress.com –, con tanto di redazione giornalistica. A fare da perno del progetto è la Casa di comunità, che ospita sia la nascente impresa sociale che l’Agenzia locale di sviluppo Distretto Pilastro Nord Est, costituita con la forma dell’associazione e che vede tra i soci promotori il comune di Bologna, il dipartimento di Agraria dell’Università (per la vicinanza del quartiere a un’area di grande pregio paesaggistico e ambientale, con la presenza di diverse imprese agricole), l’Acer (l’Azienda case Emilia Romagna), il gruppo Unipol, il consorzio Parco commerciale Meraville, il Caab (Centro agroalimentare di Bologna) e Emil Banca.

Comitati di cittadini e amministratori locali hanno trovato un punto d’incontro, dopo aver superato non poche difficoltà, nel progetto di recupero e riutilizzo dello storico Motovelodromo di Torino, dedicato alla memoria di Fausto Coppi, e abbandonato da anni. Dopo una lunga fase di confronto con i cittadini e le associazioni, a cominciare dal comitato informale Pezzi di Motovelodromo, utile per assicurare da parte del comune il mantenimento delle finalità sportive dell’impianto, è stato avviato un percorso di progettazione partecipata. L’obiettivo è la possibile nascita di una cooperativa di comunità a cui affidare la gestione della storica struttura, una volta terminati i lavori, importanti, di ristrutturazione e messa in sicurezza. L’iniziativa è stata promossa da Legacoop e Confcooperative, con Open Incet, il centro per l’open innovation di Torino, e la locale Società di mutuo soccorso. Un passaggio importante, ad aprile 2016, è stato il bando lanciato dal comune di Torino per l’assegnazione provvisoria, fino al dicembre 2016, degli spazi del Motovelodromo già utilizzabili in particolare per attività sportive. A gestire oggi la struttura è il coordinamento Pezzi di Motovelodromo, nello spirito volontaristico che ha caratterizzato fin da subito il progetto (nato intorno a una petizione online e a una pagina facebook). Si dovrebbe aprire, nei prossimi mesi, un tavolo di lavoro comune con le diverse associazioni che avevano partecipato al bando. Un clima di cooperazione, in attesa delle decisioni della nuova giunta comunale, che ha fatto parlare di un caso di amministrazione condivisa.

 

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Valerio Roberto Cavallucci