Aveva rubato del wurstel e del formaggio, per fame, e invece aveva pagato una confezione di grissini. Così un giovane senza fissa dimora, Roman Ostriakov, era stato sorpreso all’interno di un supermercato ligure.
Per questa azione il trentenne clochard ucraino si era visto confermare in appello una pena pari a 6 mesi di reclusione, con la condizionale, dal Tribunale di Genova. Di seguito, il ricorso in Cassazione, effettuato non dal ragazzo ma dal Procuratore generale della Corte di Appello del capoluogo ligure, il quale chiedeva espressamente che l’imputato fosse condannato non per furto lieve ma per tentato furto, visto che Roman Ostriakov era stato fermato prima di uscire dal negozio dal personale di sicurezza.
Ebbene, la Cassazione ha annullato la sentenza perché «il fatto non costituisce reato» in quanto non è punibile chi ruba al supermercato piccole quantità di cibo «per far fronte all’imprescindibile esigenza di alimentarsi».
Un’assoluzione che ha sorpreso tanti, forse troppi, quando qualche decennio fa c’era già qualcuno – Fabirizio De Andrè – che cantava: «Ci hanno insegnato la meraviglia verso la gente che ruba il pane, ora sappiamo che è un delitto il non rubare quando si ha fame».
Si tratta di una sentenza che entra di rigore nel senso più puro della giustizia, quando essa smette di tenere conto del fatto puro e semplice ma esamina, guarda da vicino, le motivazioni, le circostanze, le cause che spingono a comportarsi in una maniera piuttosto che in un’altra.
E, certamente, non giustifica alcun reato ma tiene conto dell’essere umano e, difendendolo dall’orrore della fame, lo assolve ubbidendo a una giustizia più grande.