La legge è uguale per tutti, ma quando si tratta di insegnarla all’Università…beh allora le cose cambiano.
E’ quanto emerge dall’uragano che si è abbattuto in questi giorni sugli atenei italiani coinvolti in un’inchiesta che vede 59 professori universitari indagati per corruzione. Tra questi 7, tutti titolari di cattedre di diritto tributario, sono stati arrestati, mentre altri 22 sono stati interdetti dalla funzione di docente per 12 mesi.
L’indagine è stata avviata dalla Guardia di Finanza di Firenze in seguito alla denuncia di un ricercatore che, stando a quanto riferito e sul quale ora indagano gli inquirenti, avrebbe ricevuto il chiaro invito a fare un passo indietro nell’ambito di un concorso per l’abilitazione in diritto tributario, per favorire un altro candidato con un curriculum non altrettanto brillante. La promessa, sempre sulla base di quanto denunciato, sarebbe stata quella di essere poi abilitato tramite raccomandazione alla tornata successiva.
La segnalazione del ricercatore onesto e comprensibilmente deluso ha scoperchiato un vaso di Pandora che finora ha portato nei guai circa 60 persone, svelando una presunta rete di accordi sistematici tra docenti per inserire negli atenei persone “selezionate”.
La notizia ha sollevato un inevitabile polverone e non soltanto a causa dell’inchiesta in sé. Sappiamo perfettamente che la corruzione esiste e che può colpire ogni settore, coinvolgendo anche le persone meno sospettabili. Del resto nessun ambiente è mai stato risparmiato da questa piaga, dalla politica all’imprenditoria passando addirittura per il mondo ecclesiastico. Ma ciò che forse in questo caso ha indignato di più è proprio il fatto che a finire nel ciclone siano persone che non solo dovrebbero conoscere molto bene la legge, ma anche insegnare il rispetto della stessa ai loro studenti.
Ma l’aspetto su cui vorrei focalizzare l’attenzione è soprattutto un altro, che a mio avviso è poi anche la ragione per cui questa inchiesta, più di altre, ha creato tanto rumore. Ed è il fatto che in realtà non è emerso niente di nuovo per nessuno!
Quante volte ci è capitato di conoscere persone davvero in gamba, piene di titoli e buone speranze, che si sono trovate a dover fare un passo indietro perché il posto a cui ambivano aveva già un nome e un cognome. E quante altre volte ci è capitato di sentire la frase “Ma si sa che queste cose vanno così” o ancora “Tanto in Italia funziona ovunque così”.
L’ho sempre detto e continuerò a dirlo ancora se necessario, siamo un popolo che si rassegna troppo facilmente e che purtroppo a volte non ha il coraggio di cambiare le cose, di imporsi, di sperare in un futuro migliore.
Ecco allora che la determinazione di un ricercatore – uno dei tantissimi che sogna di lavorare nel proprio Paese e di non dover andare all’estero, come troppi prima di lui, per realizzarsi professionalmente – diventa l’occasione per rialzare tutti la testa, per dire ha fatto bene e per cercare di convincerci che tutti, al posto suo, avremmo fatto lo stesso. Nascondendo anche a noi stessi che, almeno una volta nella vita, al posto suo, ci siamo stati. Ma abbiamo preferito pensare “Tanto in Italia funziona così”.
Il direttore
Vignetta di copertina: Freccia.