La sclerosi multipla è una grave malattia autoimmune del sistema nervoso centrale molto diffusa. In Italia ne soffrono circa 75.000 persone e nel mondo 2,5 milioni. Si tratta di una patologia per la quale al momento non esiste una cura risolutiva, ha un carattere degenerativo e i soggetti che ne sono colpiti vanno incontro a una disabilità via via sempre più invalidate.
Gli attuali trattamenti della sclerosi multipla sono tesi a distruggere le cellule malate del sistema immunitario, il che se da un lato è necessario per rallentare il decorso della malattia, dall’altro indebolisce l’organismo più vulnerabile a virus e batteri. La nuova frontiera della ricerca su questa malattia è pertanto mirata a trovare un modo per colpire solo le cellule responsabili del male (le cellule “T”), lasciando intatte le altre deputate a una funzione protettiva dell’organismo.
Ma c’è una buona notizia che lascia ben sperare ed è uno studio condotto dal dottor Jens Geginat, responsabile del laboratorio di ricerca sulle malattie autoimmuni dell’Istituto Nazionale di Genetica Molecolare «Romeo ed Enrica Invernizzi» (INGM), in collaborazione con il Centro Sclerosi Multipla della Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico e dell’Università di Milano, diretto dal professor Elio Scarpini e da poco pubblicato sulla nota rivista scientifica The Journal of Allergy and Clinical Immunology.
Qui Moira Paroni, primo autore della pubblicazione, spiega: «In questo lavoro abbiamo identificato le cellule che nei pazienti con sclerosi multipla diventano patogeniche, in grado cioè di attaccare la guaina protettiva dei neuroni», un aspetto in passato poco noto ai ricercatori che dunque oggi avranno la possibilità di studiare modi alternativi per evitare l’eccessiva immunosoppressione provocata in particolare dai farmaci utilizzati per la forma recidivante-remittente (SMRR) che poi fatalmente è anche quella più diffusa.