Il potere di dare impulso all’economia passa anche per le mani dei creativi. Qualcuno lo aveva già intuito qualche decennio fa, ma da qualche anno è acclarato che la crescita economica mondiale non potrà più puntare solo sui percorsi tradizionali ma dovrà in qualche maniera riflettere sulle enormi potenzialità della conoscenza e della creatività. Un riscatto delle risorse individuali, umane, che messe insieme in un team muovono il mondo o comunque lo fanno ruotare in maniera diversa. Non parliamo a vanvera, ma di ricerche, dati di fatto riscontrati, proiezioni future.
La ricerca che Cisac commissionò a Ey neanche un anno fa spiegava in maniera inequivocabile come l’industria creativa valesse qualcosa come 2.250 miliardi di dollari, dando lavoro a oltre 30 milioni di persone nel mondo. Numeri destinati a salire di anno in anno, risolvendosi nell’ammissione da parte dei vari governi del mondo che, sì, la nuova frontiera della crescita economica fosse nella creatività. L’importantissima ricerca del Cisac fece, l’anno passato, il giro del mondo con il titolo “Cultural Times” e divenne in maniera molto rapida un punto di riferimento per le legislazioni di tanti Paesi, persuasi dalla veridicità di quanto vi si affermava e sbalorditi dai dati riportati.
Se circostanziamo ad esempio il discorso al nostro Paese, scopriamo che il contributo offerto in termini economici dalla creatività e dalla cultura rappresentano il terzo settore in ordine di importanza per quanto riguarda l’occupazione, superando di gran lunga le industrie alimentari, automobilistiche, immobiliari.
Chiaramente, il fatto di vivere nell’era digitale ha favorito l’esplosione di espressioni come la musica, il cinema, la scrittura ed altre forme artistiche, moltiplicandone la diffusione. I membri del Cisac, per chi non lo sapesse, sono la spinta che ha determinato questo successo. Tuttavia, è evidente che esistano uno o più elementi che in qualche maniera esercitano un’azione frenante nei confronti di quello che potremmo definire il “progresso creativo”, là dove evidentemente viene forse sottovalutata la capacità di risolvere i problemi (in un’azienda, in una scuola e praticamente ovunque) affidandosi al pensiero laterale, vale a dire a modi nuovi di risolvere i problemi.
Il vantaggio di uscire da un tipo di mentalità – forse troppo rigida e ancorata su retaggi obsoleti – sarebbe probabilmente enorme. Avremmo ricadute positive in termini di innovazione, di conoscenze, senza contare i benefici economici che ne trarremmo. Punto, quest’ultimo, che si tradurrebbe in tanti nuovi posti di lavoro, in una crescita importante da tutti i punti di vista. Tuttavia la prima domanda da porsi è: «Quanto la nostra società crede nel potenziale dei creativi?». Successivamente, è doveroso dire che coloro che operano in quest’ambito sono spesso persone che lavorano ricevendo compensi economici troppo bassi, elemento che inevitabilmente influisce sulla serenità del lavoratore. Complessivamente, osservando la storia a ritroso, è evidente come il fattore tempo sia stato decisivo: ne è occorso tanto per passare da un modo a un altro per trasformare l’economia e non è mai stato un processo così semplice. Certamente non impossibile, e, probabilmente è davvero solo questione di tempo.