studio Global non-linear effect of temperature on economic production condotto da ricercatori delle università americane di Stanford e Berkeley
Se il riscaldamento globale dovesse continuare al ritmo attuale, per la fine del secolo, l’economia mondiale potrebbe subire un danno del 23% rispetto alle prospettive economiche di un mondo senza lo stravolgimento dei cambiamenti climatici. A lanciare l’allarme è lo studio Global non-linear effect of temperature on economic production condotto da ricercatori delle università americane di Stanford e Berkeley pubblicato sul sito Nature International weekly journal of science.
Gli studiosi americani hanno analizzato i dati economici e climatici di più di 160 Paesi, dal 1960 e al 2010, e sono giunti alla conclusione che la produttività umana raggiunge l’apice quando la temperatura media annua è di 13 gradi; quando il clima è più caldo la produttività dei Paesi diminuisce nettamente.
Stando allo studio, chi potrebbe risentire maggiormente del possibile aumento della temperatura saranno Africa, Asia, Sudamerica e Medio Oriente. Anche Usa e Cina, che attualmente sono allineati con questa media, corrono grossi rischi, mentre paradossalmente esistono altri Paesi (Russia, Mongolia e Canada), finora al di sotto della media di 13 gradi, che dal surriscaldamento globale riuscirebbero a trarre dei vantaggi, almeno in termini economici.
I dati parlano di una riduzione del reddito medio del pianeta di circa un 23% entro il 2100. Questo se le condizioni non mutassero. Pertanto, gli scienziati dicono che se i leader del mondo si impegnassero a realizzare i cambiamenti necessari a contrastare i cambiamenti climatici già in corso, i danni potrebbero essere ridotti al 15%.