Una delle piaghe più note del nostro Paese è il fenomeno del caporalato, una prassi del malaffare così radicata che neanche la legge istituita (leggi l’articolo) è riuscita a frenare. Attualmente si stima infatti che sono più di 400.000 i braccianti vittime di sfruttamento, giunti in Italia alla ricerca di un futuro migliore e invece caduti nella rete di questa schiavitù.
Tuttavia, esistono iniziative di spessore – e spesso sono quelle che partono dal basso – nutrite da ideali di giustizia e voglia di lanciare segnali forti per dare un contributo al cambiamento di questo Paese. Così 3 realtà del Sud Italia hanno stretto alleanza intorno allo scopo di realizzare una filiera pulita del pomodoro, dalla semina alla trasformazione del prodotto finale, la salsa. Esse sono: Diritti a Sud di Nardò (Lecce), Netzanet-Solidaria di Bari e l’Osservatorio Migranti Basilicata/Fuori dal Ghetto di Palazzo San Gervasio e Venosa (Potenza). In sinergia hanno dato vita a “Sfrutta zero”, un progetto mutualistico di cooperazione rivolto proprio alle componenti più deboli della nostra società e cioè migranti, ragazzi precari o disoccupati e contadini che vogliano avviare un’attività lavorativa basata sulla produzione dei prodotti del luogo e costruire una rete di relazioni ed economie solidali.
Un progetto che piace in maniera particolare perché sottintende che una piaga come quella del caporalato si sconfigge unendo le forze di più soggetti, spronando la collaborazione tra migranti e italiani che vivono ogni giorno le stesse difficoltà, quelle legate all’acquisizione di un reddito e al diritto di un lavoro dignitoso. Partendo da questo pensiero comune è nato “Sfrutta zero”, progetto al quale si sono successivamente aggiunte questioni importanti come una produzione di tipo sostenibile, a partire dall’utilizzo di bottiglie riciclate.
Ma cerchiamo di capire meglio come funziona la filiera e quali siano i passaggi. In primo luogo si acquistano o si coltivano diversi quintali di pomodoro che vengono raccolti e lavorati dai dipendenti con la garanzia che questi vengono retribuiti regolarmente e dignitosamente. In seguito, attraverso la strumentazione del caso, la frutta viene trasformata in salsa di pomodoro in adeguate condizioni igienico-sanitarie, sotto lo sguardo di esperti contadini. Infine, i prodotti vengono distribuiti in autogestione e quindi all’interno dei gruppi di acquisto solidale che oggi riscuotono molto successo, oppure nei mercatini locali, nelle mense, nei ristoranti e negli spazi sociali. Ovunque, insomma, gli artigli della criminalità non siano in grado di far presa.
Sul prodotto finito, la bottiglia di pomodoro, spicca in bella evidenza l’etichetta con il logo – geniale anche per il gioco di parole utilizzato – Sfrutta zero. Qualcosa di più che un nome, ma una vera e propria lotta contro un sistema, quello del caporalato, marcio, corrotto e non certamente degno di un Paese civile. Un simbolo di riscatto, di voglia di reagire, di trasmettere un messaggio importantissimo: reagire contro le agro-mafie si può.