Ieri si è tenuta la Giornata mondiale contro il lavoro minorile, occasione che Unicef Italia ha colto per ricordare a tutta la società civile che lo sfruttamento minorile di bambini poveri, abbandonati a se stessi, senza tutele né diritti, rubati a una vita normale, esiste. Giacomo Guerrera, presidente Unicef Italia, ha dichiarato: «Nel mondo sono 150 milioni i bambini fra i 5 e i 14 anni coinvolti nel lavoro minorile, nei Paesi più poveri quasi un bambino su quattro. Sono 150 milioni di storie di infanzie negate».
La maggiore concentrazione di minori lavoratori vive nell’Africa subsahariana, il 28% di coloro che hanno tra i 5 e i 14 anni. Di seguito, abitano le zone dell’Africa Centrale e dell’Ovest per un altro 28% e poi, ancora, l’Africa dell’Est e del Sud per il 26%. Grosso modo si tratta di una situazione che coinvolge tutte le aree più povere del Continente Nero. A ciò va aggiunto un altro elemento che aggrava una situazione di per sé già drammatica che consiste nel fatto che il 10% di questi minori e nella fascia d’età succitata, esercita un lavoro ad alto rischio per la propria salute e comunque potenzialmente dannoso rispetto, ad esempio, al 9% dei bambini che vivono in America Latina o nei Caraibi.
Prendendo come riferimento uno degli ultimi rapporti Unicef, scopriamo che più nel dettaglio, nell’ambito dello sfruttamento minorile, esiste una distinzione di genere in base alla quale le femmine hanno più possibilità di essere utilizzate per i lavori domestici non pagati oppure per la raccolta di acqua che, come sappiamo, in Africa è un problema di non poco conto, o per quella del legname.
Inquietante immaginare una bambina tra i 5 e 14 anni di età svolgere questo tipo di compito, aggravato dal fatto che ognuno di loro lavora per gran parte del giorno. L’aspetto ancora più drammatico è che con il progressivo aumentare dell’età il fardello del lavoro aumenta, e anche le ore.
Poco consola che poi una bambina nata in America Latina o nei Caraibi abbia minori possibilità di essere coinvolta nello stesso tipo di sfruttamento, perché in questi due Paesi si è soliti prediligere i maschi. Altrettanto grave. I bambini qui sono vittime di sfruttamento per il 12% rispetto al 7% delle bambine. Se ci spostiamo poi nell’Asia dell’Est e nel Pacifico le percentuali indicano un 11% dei maschi e un 9% delle femmine. In Medio Oriente e in Nord Africa i fanciulli arrivano all’8% e le ragazzine al 6%.
Senza contare, ovviamente, un risvolto ancora più desolante del problema minorile: i numerosi bambini soldato ai quali viene affidato un fucile come se la guerra fosse un gioco, la prostituzione minorile tanto diffusa in tutti i Paesi che abbiamo indicato e purtroppo anche altrove. Stiamo parlando di qualcosa che definire grave è poco, se oltretutto calcoliamo i danni irreversibili a cui le piccole vittime sono sottoposte quotidianamente, e da un punto di vista fisico e da un punto di vista psicologico. E poi c’è l’istruzione, prassi rara in questi territori, soprattutto se pensiamo che un bambino privato del diritto allo studio sarà una persona con scarse possibilità di pianificare e scegliere per il proprio futuro.
Unicef, da anni, lotta contro la piaga dello sfruttamento minorile. Grazie all’Organizzazione umanitaria tanto è stato fatto ma molto resta ancora da fare. Parlare dell’argomento, sensibilizzare le coscienze del mondo occidentale, spronare chi lavora nell’informazione a dare il proprio contributo alla causa, ci sembra un atto di responsabilità, di umanità, di dovere.