Dalla situazione determinatasi nel centro di detenzioni migranti di Manus esce allo soperto la politica dell’Australia verso i migranti, non nota alla maggior parte delle persone, ma che certamente è molto contestata a livello internazionale, dal momento che prevede il respingimento di tutti i migranti che cercano di raggiungere le sue coste: nessun asilo è loro concesso ma, dopo accordi con i diversi governi, vengono immediatamente inviati su isole appartenenti ad altri Paesi, come Nuaru o come appunto Manus in Papua Nuova Guinea.
In particolare il centro di Manus è stato utilizzato dell’Australia sin dal 2012 ma ne era stata ordinata la chiusura da parte delle autorità australiane poiché la Corte Suprema del Paese aveva stabilito che le condizioni di detenzione del centro stesso erano incostituzionali; finalmente l’Australia aveva deciso di ottemperare all’ordinanza il 31 ottobre scorso. In quel momento a Manus vivevano circa 600 migranti – tutti uomini – che hanno occupato la struttura asserragliandosi nei locali nonostante siano mancati acqua, cibo ed energia elettrica; hanno rifiutato il trasferimento nella vicina cittadina di Lorengau per il timore di essere fisicamente attaccati dagli abitanti locali – cosa avvenuta in passato – che non desiderano accogliere alcun migrante.
La situazione era diventata piuttosto pesante e va evidenziato che le notizie arrivavano frammentate e soprattutto prive di fonti certe: per questo motivo era difficile dare resoconti in tempi brevi e informare circa la situazione.
In data 3 novembre l’Unhcr ha espresso preoccupazione per «un’eventuale emergenza umanitaria» nel centro di detenzione off shore australiano e il portavoce dell’Alto commissario della Nazioni Unite Rupert Colville ha espresso la propria opinione: «Nutriamo serie preoccupazioni per il benessere e la sicurezza dei circa 600 uomini a Manus che rimangono nella struttura ricettiva e hanno troppa paura di andarsene. Tutti i migranti, inclusi rifugiati e richiedenti asilo sono esseri umani. Come tutti noi, hanno il diritto a un ambiente sicuro e protetto, il diritto a un tenore di vita adeguato e a partecipare al processo decisionale che sta influenzando il loro futuro».
Giungevano inoltre notizie sul fatto che la Polizia avesse circondato il centro, ma circa le sorti dei 600 occupanti non trapelavano notizie e tantomeno ne parlava l’Australia.
Fino a quando, il 23 novembre scorso, secondo quanto raccontano numerosi giornali internazionali tra i quali The Guardian e The New York Times, la polizia di Papua Nuova Guinea ha fatto irruzione nel centro di detenzione ordinando ai rifugiati di lasciare la struttura e accettare il trasferimento. Sempre secondo le fonti giornalistiche, i poliziotti non sono andati per il sottile: avrebbero arrestato e poi rilasciato alcuni richiedenti asilo, avrebbero distrutto i loro effetti personali e sequestrato i loro cellulari allo scopo di evitare che venisse raccontato quanto stava succedendo. In particolare il giornalista del Guardian Behrouz Boochani, anch’egli asserragliato a Manus, ha twittato: «Siamo bloccati proprio ora. Molti poliziotti e ufficiali per le immigrazioni sono intorno ai noi in questo momento. Distruggono ogni cosa e tutto ciò che possediamo e proprio adesso ci stanno urlando di lasciare il campo di prigionia. Io sto twittando in questo momento dal bagno».
Gli avvocati di alcuni dei richiedenti asilo hanno riferito al New York Times, che secondo il loro parere decine di persone sono state caricate su tre minibus e probabilmente portate in un altro centro.
Infine, venerdì 24 novembre, il governo dell’Australia ha annunciato che il centro di detenzione di Manus è stato definitivamente sgomberato e tutti i richiedenti asilo sono stati trasferiti.
A coronamento di queste vicende, il Primo ministro australiano, Malcolm Turnbull avrebbe dichiarato che il suo governo non si farà intimidire dalle proteste e dalle pressioni anche internazionali, e quindi la politica australiana per l’immigrazione e per l’accoglienza dei richiedenti asilo non cambierà di una virgola.