Dal primo di gennaio i sacchetti che possono contenere alimentari sfusi come frutta e verdura o pane, sono stati sostituiti da shopper biodegradabili e compostabili e diventano a pagamento per il consumatore.
Non è una novità della manovra finanziaria, bensì l’articolo 9-bis del cosiddetto decreto Mezzogiorno – licenziato ad agosto come Legge 123 del 3 agosto – recante l’indicazione che gli shopper biodegradabili non possano essere distribuiti gratuitamente e anzi il prezzo di ogni singola unità debba risultare nello scontrino o fattura di vendita.
L’articolo recita infatti: «Le borse di plastica in materiale compostabile o biodegradabile non possono essere distribuite a titolo gratuito e a tal fine il prezzo di vendita per singola unità deve risultare dallo scontrino o fattura d’acquisto delle merci o dei prodotti imballati per il loro tramite».
Si fa notare che la norma non riguarda solo la GDO – Grande Distribuzione Organizzata – ma anche i piccoli negozi che vendono prodotti sfusi. Non basta: è fatto espresso divieto di portare da casa i sacchetti già utilizzati. Questo almeno risulta essere il chiarimento del ministero dell’Ambiente che in una nota inviata alla GDO chiarisce che l’obbligo di pagare i sacchetti sarà accompagnato dal divieto di riutilizzo delle buste biodegradabili per ragioni igieniche. Non a caso, nella legge sopra citata, viene dato risalto non solo ai componenti degli shopper, ma addirittura al loro spessore, contestando l’utilizzo di borse con manici esterni applicati o dello spessore di 300 micron. Preferiamo non tediare con tutti i particolari tecnici.
Il prezzo di vendita degli shopper biodegradabili non è ancora stato ufficialmente reso noto, ma probabilmente oscillerà tra 1 e 5 centesimi al pezzo, stabilito dalla catena di vendita. Tutti i sacchetti devono essere riconoscibili con marchi e diciture idonee a dichiarare che le borse rientrano nelle tipologie commerciali.
Ricordiamo che quello di quest’anno è il primo scalino per rendere la plastica sempre più degradabile: infatti, per il 2018 è previsto un contenuto minimo di materia prima rinnovabile non inferiore al 40 %; dal 1º gennaio 2020 con un contenuto minimo di materia prima rinnovabile non inferiore al 50 %; dal 1º gennaio 2021 con un contenuto minimo di materia prima rinnovabile non inferiore al 60 %.
È importante a questo punto rilevare le multe per chi non rispetterà le nuove norme: è prevista una sanzione amministrativa pecuniaria da 2.500 a 25.000 euro. Sanzione che è aumentata a 100.000 euro se la violazione del divieto riguarda ingenti quantitativi di borse di plastica o un valore di queste ultime superiore al 10 per cento del fatturato del trasgressore. Si ignora cosa siano ingenti quantitativi e come venga valutato il valore, se al costo o alla vendita.
Dimentichiamo pure a casa i nostri shopper, nell’attesa che magari qualche legislatore si ricordi che solitamente nella GDO le carni vengono vendute avvolte nel polistirolo.