Solo qualche giorno fa abbiamo parlato del VII Rapporto di indagine sull’impegno sociale delle aziende in Italia a cura dell’Osservatorio Socialis in collaborazione con Baxter, FS Italiane, Prioritalia e Terna (leggi l’articolo). I dati ci informano che nel nostro Paese circa l’80% delle imprese con più di 80/100 dipendenti si impegna in iniziative di responsabilità sociale d’impresa, per un investimento globale di 1 miliardo e 122 milioni di euro.
L’indagine ci restituisce un quadro molto interessante e, per certi aspetti, fin troppo positivo. Di sicuro è necessario un approfondimento che ci consenta di andare in profondità, scavando più a fondo, oltre le apparenze, per capire come sia possibile che ben l’80% delle imprese intervistate dichiari di attuare una strategia di CSR.
Per questo proponiamo ai lettori di Felicità Pubblica l’Abstract del VII Rapporto sull’impegno sociale delle aziende italiane e, in allegato, il testo integrale dell’indagine.
VII RAPPORTO SULL’IMPEGNO SOCIALE DELLE AZIENDE ITALIANE
Abstract del rapporto statistico
Nel 2013, anno di riferimento del precedente rapporto, le imprese che dichiaravano di impegnarsi nella responsabilità sociale d’impresa erano il 73%. Nel VII rapporto questo dato cresce: ad attuare una strategia di CSR è l’80% delle imprese italiane. Inoltre, l’investimento in attività di CSR torna a salire, anche se non tocca i livelli massimi del 2011, e raggiunge i 176mila euro spesi mediamente dalle aziende, con una prospettiva di aumento ulteriore per il 2016; con l’aumento del numero di investitori, il flusso globale dei finanziamenti supera il miliardo di euro (un miliardo e 122 milioni di euro). Dal rapporto emerge inoltre la tendenza da parte dell’83% delle imprese a concentrare il focus principalmente su iniziative realizzate all’interno dell’azienda, poi a livello locale e sul territorio nazionale, con soltanto il 9% degli investimenti dedicati ad iniziative in Paesi esteri. Le aziende che nel 2013 hanno attuato policy di responsabilità sociale riterrebbero inoltre interessante la possibilità per i propri manager di operare, per un periodo, nel settore no profit (proposta sostenuta dal 27% campione); oppure come seconda opzione, organizzare una giornata aziendale dedicata alla CSR (13% del campione).
Le modalità di intervento più citate in ambito CSR si concentrano sui comportamenti consapevoli e sulla modernizzazione degli impianti (risparmio energetico, inquinamento) e dei processi e prodotti aziendali. Sulla scia di quanto già constatato nell’edizione le aziende si adoperano per agire attivamente nel campo della sostenibilità, con attenzione, investimenti e sforzi riorganizzativi. Come nella rilevazione del 2013, ai primi posti si confermano le attività di tutela dell’ambiente e sostenibilità e quelle relative al clima interno e welfare aziendale. In particolare si osserva una considerevole crescita della diffusione delle attività di sostenibilità ambientale che questa volta ha coinvolto il 56% delle imprese. Il 53% delle imprese ha realizzato attività per il miglioramento delle condizioni lavorative e/o di benessere dei dipendenti. Diffuse in misura decisamente minore le attività per lo sviluppo di prodotti e processi sostenibili, le attività per lo sviluppo delle comunità locali e quelle dedicate alla promozione e salvaguardia della cultura e dei beni culturali. Comunque, ad uno sguardo complessivo sulle scelte di area degli investimenti in CSR, si intuisce una tendenza in aumento a concentrarsi su sé stessi, sull’interno e su ciò che è più prossimo. Infatti il primo riferimento è l’interno dell’impresa, poi il territorio limitrofo poi il territorio nazionale. Tale direzione era già stata rilevata nel 2013. Le modalità di intervento più citate in ambito CSR si concentrano sui comportamenti consapevoli e sulla modernizzazione degli impianti (risparmio energetico, inquinamento) e dei processi e prodotti aziendali. Già nell’edizione precedente emergeva la tendenza ad allontanarsi dalla modalità passiva che vede in primo piano contributi economici e donazioni, per aderire alla chiave attiva della sostenibilità, che vede le imprese che richiedono attenzione, investimenti e sforzi riorganizzativi.
La causa su cui più si concentrano le aziende è quella ambientale, con il 48% degli intervistati a sostegno di iniziative per ridurre l’inquinamento del territorio e il 42% rivolto alla riduzione degli sprechi di risorse. Infatti, 44 aziende su 100 hanno investito per migliorare il risparmio energetico, 40 su 100 hanno optato per modifiche dei processi e/o dei prodotti aziendali, 30 su 100 hanno investito per limitare il proprio impatto ambientale, 28 su 100 hanno migliorato il proprio sistema di raccolta differenziata. Al di là delle ragioni ambientali, il 30% del campione ritiene opportuno perorare cause di integrazione sociale, mentre la tutela delle pari opportunità di genere è al 29%. Risulta notevole che nessuna azienda abbia mostrato interesse nei confronti di attività a carattere sportivo, a differenza dello scorso rapporto, quando questo genere di iniziative riscuoteva l’11% delle opinioni a favore.
L’impegno nei confronti dei comportamenti socialmente responsabili delle aziende è riconosciuto soprattutto al privato: aziende (20%), opinione pubblica (15%) e terzo settore (14%). Quest’edizione dello studio conferma la stessa situazione di debolezza dell’impegno del settore pubblico: Regioni e istituzioni comunitarie salgono al 10%, seguite dai Comuni che, per contro, scendono al 9% rispetto alla scorsa rilevazione. Fanalino di coda della classifica sono le università (6%) e le istituzioni nazionali, che, considerate promotori di CSR solo dal 4% del campione, sembrano non avere ancora individuato un percorso in questa direzione.
La prima motivazione alla base della CSR è il miglioramento dell’immagine aziendale, sostenuta dal 29% degli intervistati, a dimostrare che è stata colta dalle imprese la sua centralità nella costruzione della reputazione e del ‘racconto’ d’impresa. In seconda battuta viene l’importanza della coscienza ambientale, con 24 imprese su 100 che sottolineano il valore dello sviluppo sostenibile. La motivazione legata all’impatto sul business e sul clima interno segue con, rispettivamente, il 21% e il 20% dei voti del campione. 18 aziende su 100 mirano ad accedere a finanziamenti istituzionali, mentre il 17% pensa che le attività di CSR possano contribuire a fidelizzare i clienti e rappresentano un dovere morale nei confronti delle generazioni future. Aggregando però le molteplici modalità di risposta, si rende evidente qual è il peso specifico delle motivazioni: la qualificazione dell’immagine e della reputazione corporate muove il 50% delle imprese; l’espansione/fidelizzazione del portafoglio clienti muove il 49%; la sensibilità ambientale muove il 35%; al 35% anche i fattori economici e di risparmio (tasse/finanziamenti); il vantaggio per la gestione delle relazioni con il territorio muove il 25%; il miglioramento del clima interno motiva il 23%.
Come abbiamo già menzionato, 80 imprese su 100 tra quelle intervistate hanno dichiarato di compiere attività di CSR. Tra queste, l’83% sostiene di avere effettuato una valutazione ex ante del rapporto tra costi e benefici delle iniziative previste e il 64% ha già previsto di stanziare un budget per le attività di responsabilità sociale nel 2016. Combinando le posizioni di chi si è ritenuto soddisfatto e molto soddisfatto dei risultati riscontrati a seguito delle attività di CSR si raggiunge ben il 97% delle imprese: pressoché la totalità del campione. Del resto, la percezione – evidentemente sensata- del 52% degli intervistati è che l’attenzione da parte dei consumatori nei confronti delle scelte etiche delle aziende sia in crescita. Ne consegue anche che l’85% del campione riconosca che da tali iniziative scaturiscano effetti abbastanza o molto positivi sulla motivazione e la produttività dei dipendenti, con un aumento del 21% rispetto ai dati del VI rapporto che rivela, da una parte, una maggior coscienza da parte delle imprese dell’importanza della responsabilità e attenzione a metterne in relazione gli effetti, dall’altra una maggior risposta dall’esterno, sia esso il mercato, gli stakeholder o le istituzioni.
Il 78% delle imprese è consapevole del fatto che il 1 gennaio 2017 entrerà in vigore la nuova Direttiva 95/2014 sull’obbligo, per le imprese con più di 500 dipendenti, di rendere note anche informazioni di carattere non finanziario in merito alla propria attività. Inoltre, 82 imprese su 100 sanno cos’è il codice etico (erano 69 nel 2014) e il 77% di queste ne ha adottato uno: nel 2014 erano il 76%, il che indica come, nonostante più imprese sappiano di cosa si tratta, il dato sulla sua adozione resti sostanzialmente stabile.
Rispetto al 33% dello scorso anno, questa volta sono 42 su 100 le aziende che hanno una figura professionale specifica per la sezione di responsabilità sociale. I settori dove è più frequentemente presente un responsabile CSR sono l’elettronica/informatica/telecomunicazioni, il meccanico auto, l’industria manifatturiera, quella metallurgica e i servizi. Laddove manca tale ruolo specifico, le sue mansioni vengono svolte il più delle volte dal responsabile qualità (24% dei casi) e dal direttore del personale (23% dei casi). Il 69% delle imprese, inoltre, ritiene che una specializzazione in CSR e/o sostenibilità ambientale possa rappresentare un elemento di distinzione in un curriculum.
Rispetto a due anni fa la penetrazione di bilancio ambientale e sociale registra un aumento della diffusione, soprattutto nel caso del bilancio ambientale, che raddoppia la sua popolarità passando dal 30% al 63% di aziende che lo redigono, mentre il Bilancio sociale cresce al 57%. Sono, poi, 34 su 100 le imprese che li redigono entrambi; anche tra le aziende che non sono attive in CSR, il 38% ha redatto un bilancio sociale, mentre addirittura l’84% ha redatto quello ambientale: più delle aziende attive in CSR. Tra i settori che computano sia il bilancio sociale che ambientale si distinguono con valori oltre la media l’elettronico/informatico/telecomunicazioni, il metallurgico ed i servizi; il bilancio sociale è stilato in misura maggiore in campo bancario/finanziario /assicurativo e nel settore manifatturiero; il bilancio ambientale risulta diffuso in percentuale maggiore nel commercio, nei trasporti, nel chimico/farmaceutico, nel settore della gomma/plastica e nel meccanico.
Tra le attività realizzate in maggior numero troviamo la formazione e valorizzazione del personale (43%), la valutazione di competenza ed efficienza per lo sviluppo delle carriere (37%) e il miglioramento della comunicazione interna (35%), nello stesso ordine dello scorso rapporto, ma con dati in leggero aumento rispetto alla scorsa rilevazione. Il 20% circa delle imprese ha investito in welfare aziendale ed attuazione delle pari opportunità, worklife balance, attività ricreative e culturali e monitoraggi del clima. Mediamente le imprese hanno realizzato 2,6 attività tra quelle elencate. Il settore più attivo e con un numero maggiore di attività realizzate è quello chimico/farmaceutico. Altri settori tra i più attivi sono l’elettronico/informatica/telecomunicazioni e l’industria metallurgica.
4 imprese su 10 dichiarano di aver attivato un sistema di comunicazione interna; lo strumento più utilizzato resta quello delle comunicazioni della direzione (49%), mentre si osserva un aumento notevole dell’uso di incontri periodici interni, che passa dal 29% del 2014 al 38% dell’ultima rilevazione. Seguono, con dati che si aggirano attorno al 30%, le attività di formazione ed educazione alla responsabilità sociale e la comunicazione attraverso intranet o il sito web dell’azienda. Verso l’esterno, invece, i principali promotori della CSR si confermano le aziende; in particolare, sia le imprese attive in CSR, sia quelle non attive, riscontrano l’importanza del ruolo dei consumatori nella diffusione e nella crescita dell’attenzione nei confronti dei loro comportamenti; segue l’impatto del terzo settore e delle istituzioni locali e europee, attorno al 10%, mentre l’incidenza delle università e delle istituzioni nazionali sembra ancora piuttosto limitata e residuale.