Non è la prima volta che Picasso è in mostra in Italia, ma sicuramente lo è per la sua immensa tela, Parade, lunga 17 metri e alta 11, dipinta dall’artista come sipario per il balletto ideato da Jean Cocteau e considerato uno dei pezzi più pregiati della mostra romana in quanto la tela raramente lascia il Centre Georges Pompidou di Parigi. Non c’era spazio per il capolavoro nelle sale delle Scuderie del Quirinale e quindi è stata posizionata a Palazzo Barberini, nel salone affrescato da Pietro da Cortona, laddove lo stile barocco crea un’atmosfera suggestiva oltre che un toccante dialogo con la moderna opera di Picasso.
Il balletto teatrale Parade, ideato da Jean Cocteau e rappresentato per la prima volta a Parigi al Théâtre du Châtelet il 18 maggio 1917, era il frutto della collaborazione tra l’impresario Sergej Djagilev, il musicista Erik Satie, il coreografo Léonide Massine e, soprattutto, Picasso, che concepì l’idea del sipario proprio a Roma, durante un viaggio in Italia con Cocteau in cerca di ispirazione. L’opera era destinata a fare da «ouverture» a uno degli spettacoli che cambiarono il modo di stare a teatro: infatti la tela non è altro che una sintesi visiva di diversi linguaggi oltre che, come da copione, un’esplosione di colori che messi in successione suggeriscono una profondità prospettica in una tela bidimensionale.
Per quanto lirico e malinconico assieme, il sipario trasmette una grande intensità emotiva: ci sono due saltimbanchi, un prestigiatore cinese, una ragazzina, una coppia di acrobati che eseguono salti mortali, un buffo cavallo bianco alato. La danza, la pubblicità e, naturalmente, il circo sono tessuti da Picasso in una visione collettiva che non separa i monumenti artistici dalla vita popolare, i musei dalla strada, e neppure i corpi dei ballerini che egli vede riflessi nelle statue antiche.
Il suo lavoro presenta una raffinatezza affascinante e suggestiva, ma nel contempo mostra i primi segni di allontanamento dal cubismo. Quando verso la fine del 1916, l’artista spagnolo decide di buttarsi nell’avventura teatrale di Parade, il cubismo ha ormai espresso quanto doveva. Alla fine del 1915 firma ancora i famosi Arlecchini, nel linguaggio geometrico e colorato del cubismo sintetico, e i ritratti disegnati. I pochi mesi di soggiorno tra Roma e Napoli avranno un’influenza duratura su Picasso, stimolando in lui ancor di più quell’incessante voglia di sperimentare che ha sempre caratterizzato il suo percorso artistico, un complesso e personalissimo viaggio mentale prima ancora che artistico, tra numerose suggestioni e stili diversi.
Ma l’esposizione non contempla solo Parade: alle Scuderie del Quirinale potrete visionare più di cento capolavori tra tele, gouaches e disegni – oltre a fotografie e molti documenti inediti – che provengono da 38 prestatori internazionali. Tutto per sugellare il centenario del primo viaggio di Pablo Picasso in Italia, testimonianza della profonda influenza dei soggiorni a Roma e a Napoli oltre che riscontrare come il viaggio sia stato uno spunto per qualcosa di più profondo di una semplice ricorrenza da ricordare.
Aria nuova che lo libera da quel senso claustrofobico di essere rinchiuso e incasellato per bene nella rivoluzione cubista che lui stesso aveva in qualche modo guidato. Il crescente intellettualismo del movimento cubista, e in generale delle avanguardie, lo mette a disagio soprattutto nella volontà di tagliare ogni legame con il passato. La gabbia della presunta purezza dello stile non fa per lui. “Abbasso lo stile” diceva “Forse Dio ha uno stile?”. E come egli stesso affermava «l’arte è la menzogna che ci permette di conoscere la verità»
Guardando i suoi lavori si evince che il Cubismo per lui non è di certo solo uno stile, ma uno strumento per descrivere la realtà nelle sue molteplici sfaccettature e Relativismo, Cubismo analitico, Cubismo sintetico sono solo tentativi di relegare in una sterile definizione l’indomito estro creativo di un artista che guarda al mondo con la passione e la curiosità di un bambino.
La riscoperta del Classicismo, poi, e quindi dell’arte italiana, si rivelano una fonte preziosa che segnerà per sempre la sua carriera e i segni emergono dai suoi bozzetti a matita e carboncino che potrete ammirare al secondo piano della mostra.
Ma non emerge solo questo: la sua ricerca dell’innovazione, del divenire, della “sperimentazione“, di un obiettivo raggiunto ma da superare per cercarne altri, per raggiungere nuove mete e nuove forme espressive e nuovi linguaggi, tutto questo è chiaramente percepibile dall’osservazione delle sue opere.
La mostra, che chiuderà il 21 gennaio 2018, è l’occasione per conoscere un artista che è noto per la sua modernità ma che, in effetti, cela una profonda educazione classica che vi potrà sorprendere e che vi porterà a scoprire le sue origini figurative mediterranee e classiche, un periodo forse meno conosciuto e che vale la pena indagare considerato il ruolo centrale dell’arte classica italiana in questa sua temporanea “metamorfosi”.