Titolo: Solo la luna ci ha visti passare
Autore: Maxima, Francesca Ghirardelli
Editore: Mondadori
Prima Edizione: 24 maggio 2016
“Siamo in molti ad andare avanti con determinazione: se un essere umano vuole davvero qualcosa, la otterrà di sicuro. La determinazione è un regalo che ci viene fatto quando nasciamo: a noi tocca solo imparare ad usarla”.
Questa la prefazione di un libro, di recente pubblicazione, davvero toccante ma altrettanto “autentico e reale” sul viaggio raccontato da una migrante siriana di 14 anni di nome Maxima che, con determinazione, decide di partire dalla Siria nell’agosto del 2015 per affrontare insieme a tanti altri “passeggeri invisibili” il lungo viaggio verso l’Europa, alla ricerca di un mondo migliore e libero, verso una realtà priva di quelle «nubi spesse di cenere e il pulviscolo dei palazzi sbriciolati dai bombardamenti». La guerra!
La semplicità di scrittura, oltre che di lettura del libro, ben si sposano con l’incisività dei passaggi cruciali riportati dalla scrittrice Francesca Ghirardelli che decide di realizzare la sua idea dopo due incontri con Maxima: il primo avvenuto nel piccolo parco di Belgrado dove con «capelli raccolti da un elastico sopra la testa e tratti del viso dolci e ancora (forse per poco) infantili mi ha stretto la mano, si è messa a sedere e ha cominciato a raccontare il suo viaggio….» e prosegue «We are sorry, ci dispiace ma in Europa dobbiamo proprio entrare»; il secondo, decisivo, avvenuto in Olanda.
Il camion. «Siamo in otto obbligati a stare tutti vicini, ci appoggiamo gli uni agli altri, in fila lungo la parete, uno spazio limitato, due metri per uno e mezzo, ma queste dimensioni forse sono solo una mia impressione visto che non arriva nemmeno un filo di luce». Questo il primo capitolo del libro ma l’ultimo tratto di strada verso la libertà. Ore che diventano giorni, giorni che diventano settimane. Per la ragazza «…la parte più tormentata» di tutto il suo viaggio e che vive con forti stati di paura e angoscia, la parte più impegnativa rispetto ad altri momenti che saranno sapientemente riportati in questo racconto.
Ma la determinazione non abbandona Lava (secondo nome di Maxima che vuol dire ‘speranza’), perché i ricordi le danno il coraggio e la forza di andare avanti: i genitori rimasti nel piccolo paesino di campagna, i giorni di scuola trascorsi tra Aleppo e la Turchia, i suoi vecchi compagni di scuola, il piccolo villaggio e “il paradiso sotto gli alberi di noce“.
La paura di annegare: in 42 su un gommone lungo 6 metri e largo appena 2 in quella breve ma lunghissima traversata del Mar Egeo per arrivare sulle coste greche; la paura di essere scoperti e riportati indietro e quindi «procedere in silenzio nascosti nella vegetazione, dietro ai cespugli e fra gli alberi…dove solo la luna ci ha visti passare»; la paura di non farcela e di cadere nello sconforto, di avvertire la stanchezza e non andare avanti con i piedi che «hanno cominciato a sanguinare, fra le dita e attorno alla caviglia sinistra, dove la pelle sfregava contro la scarpa». La paura di una avventura verso una difficile e rischiosa libertà.
La rabbia. Improvvisa, sgradevole ma con chi? Maxima non è arrabbiata con i suoi compagni di viaggio, né con quei volontari che cercavano di aiutarli, né con la stessa polizia che incontravano e a volte ostacolava il loro passaggio, né con gli Europei che non li accettavano.
La gentilezza degli altri rifugiati incontrati sul loro cammino, dei greci nel campo profughi sull’isola di Lesbo, degli anziani di un piccolo villaggio della Macedonia, degli stessi compagni di viaggio perché la più piccola del gruppo e capivano le sue difficoltà. Ma soprattutto la speranza, la fiducia, e la sicurezza che ce l’avrebbero fatta, che si avvicinavano sempre più alla loro meta – l’Olanda – e che avrebbero cominciato una nuova vita!
E al termine del suo viaggio, la tristezza per «l’immagine di tutte quelle persone in condizioni misere, dei tanti siriani in difficoltà che ho avuto, a lungo, davanti agli occhi. Soprattutto l’immagine dei bambini più piccoli che ancora non conoscevano niente del mondo, ancora non avevano sperimentato la bellezza della vita e che nei loro primi anni hanno assistito solo a cose brutte».
E credo che riportare, a conclusione dell’articolo, queste parole di Maxima sia più eloquente di qualsiasi discorso o considerazione che si possa fare in merito a questo angosciante esodo che sta dilaniando il 21esimo secolo:
«…era davvero tanta la gente che come noi lasciava casa propria per entrare in Europa. E mi sforzavo di immaginare quello che stavano vivendo gli europei. Sapevo che c’era chi non ci voleva. Vorrei dire a queste persone che non è colpa loro se avvertono un sentimento di rifiuto per i rifugiati. Tutti quelli che amano il proprio Paese diventerebbero pazzi e si arrabbierebbero vedendo i problemi causati dall’arrivo di tante persone in difficoltà. Ma vorrei anche dire loro che viviamo tutti nello stesso mondo. E suggerire a chi in Europa non ci vuole, di provare a essere più felice per la vita che conduce e di cercare di capire di più gli altri. Perché se vogliamo vivere in pace, bisogna darsi una mano a vicenda».