Nel nostro Paese sono circa 7 milioni le persone che convivono ogni giorno con il pericolo di frane e alluvioni perché residenti in zone a rischio. In più di 400 comuni ci sono interi quartieri edificati in aree a rischio e in 1.047, ossia il 77%, ci sono abitazioni in zone ostili vicino ai letti dei fiumi e in luoghi esposti a possibili frane. A rilevarlo è Legambiente nel suo nuovo rapporto “Ecosistema rischio 2016” che monitora le attività nelle amministrazioni comunali per la mitigazione del rischio idrogeologico.
L’analisi di Legambiente è stata compiuta sulla base delle risposte a un questionario inviato ai Comuni con zone a rischio idrogeologico. Complessivamente hanno risposto in 1.444.
Il rapporto mette in evidenza un dato veramente allarmante. Nel 31% dei Comuni registrati ci sono interi quartieri nelle zone a rischio e che nel 51% dei Comuni sorgono impianti industriali in aree pericolose. Nel 18% dei Comuni vi sono complessi sensibili come scuole o ospedali nelle aree golenali o a rischio frana, e nel 25% ci sono strutture commerciali in queste zone.
Un altro dato che merita particolare attenzione riguarda l’urbanizzazione delle aree a rischio, che non è soltanto un fenomeno del passato: nel 10% dei Comuni, infatti, sono stati costruiti edifici in aree a rischio anche negli ultimi dieci anni. Inoltre, soltanto il 4% delle amministrazioni ha avviato interventi di delocalizzazione di edifici abitativi e l’1% di insediamenti industriali.
Tra le città capoluogo, solo 12 hanno risposto al questionario di Ecosistema rischio: Roma, Ancona, Cagliari, Napoli, Aosta, Bologna, Perugia, Potenza, Palermo, Genova, Catanzaro e Trento. In particolare, a Roma e a Napoli sono più di 100.000 i cittadini che vivono o lavorano in aree a rischio, poco meno di 100.000 anche le persone che vivono in zone pericolose nella città di Genova. E anche qui è possibile notare che malgrado vi sia uno stato d’emergenza, ormai più che noto, nell’ultimo decennio nelle città di Roma, Trento, Genova e Perugia sono stati costruiti edifici in zone a rischio.
Per fronteggiare tale situazione preoccupante, secondo il responsabile scientifico di Legambiente, Giorgio Zampetti, bisogna intervenire rapidamente e avviare una seria politica di mitigazione del rischio per limitare i pericoli a cui sono esposti i cittadini. Inoltre, è necessario predisporre un’attività di prevenzione che vada da una diversa pianificazione dell’utilizzo del suolo alla crescita della consapevolezza da parte dei cittadini. Ciò soprattutto alla luce degli esiti emersi dall’indagine in quanto risultano in ritardo le attività di informazione dei cittadini sul rischio e i comportamenti da adottare in caso di emergenza: l’84% dei Comuni ha un piano di emergenza che prende in considerazione il rischio idrogeologico, ma solo il 46% lo ha aggiornato e solo il 30% ha svolto attività di informazione e di esercitazione dirette ai cittadini.