Più volte, a fronte anche di una scarsissima attenzione mediatica intorno al tema, abbiamo avuto modo di informare i nostri lettori sui misurati passi in avanti mossi a tutela delle spose bambine nel mondo. L’ultima conquista in tal senso arriva dall’India: la Corte suprema dello Stato asiatico ha emesso una sentenza che decreta che i rapporti sessuali consumati nell’ambito di un matrimonio in cui la sposa ha meno di 18 anni, sono un atto di stupro. E lo stupro è un reato. E il reato è punibile dalla legge.
Un discorso che per la società civile occidentale non fa una grinza, ma naturalmente stiamo parlando dell’India, un Paese che prima dell’approvazione del nuovo decreto dell’11 ottobre scorso (in occasione della Giornata internazionale delle bambine e delle ragazze), consentiva una terribile eccezione alla regola: i rapporti sessuali tra un marito e una moglie dai 15 anni in su erano considerati legali. Non vale la pena soffermarsi sugli assurdi ragionamenti che stabilivano questo abominio, la letteratura di genere ci spiega come le società a carattere maschilista siano in grado di congetturare scemenze.
Tuttavia in ogni società del mondo esiste una parte illuminata, evidentemente in grado di utilizzare ratio e intervenire attraverso l’utilizzo della legge. Così la Corte ha finalmente stabilito che «un rapporto sessuale con una donna che abbia meno di 18 anni è un atto di stupro, indipendentemente dal fatto che sia sposata o meno. L’eccezione crea una distinzione inutile e artificiale tra una bambina sposata e una nubile e non ha alcun nesso razionale con qualunque obiettivo poco chiaro che si intenda raggiungere. Questa distinzione artificiale è arbitraria e discriminatoria e non è certamente nel miglior interesse della ragazza».
La decisione della Corte è importante per due ragioni. La prima: dice finalmente che l’indiano che sposa una minorenne e nell’ambito del matrimonio consuma con essa un atto sessuale è uno stupratore. La seconda: invita tutta la società indiana – nella quale la prassi delle spose bambine è accettata da una grossa fetta della popolazione – a meditare sulla ragionevolezza di una scelta spesso certamente condizionata dalla povertà delle famiglie, ma certamente castrante da ogni punto di vista. Una bambina data in sposa a 15 anni con ogni probabilità dovrà rinunciare agli studi, al sacrosanto diritto di vivere una vita da adolescente, alla libertà di sognare il proprio futuro e non essere costretta a sfornare un figlio dopo l’altro perché così vogliono le convenzioni.
Certo, nessuno sottovaluta la delicatissima situazione socio-economica – e culturale – di un Paese travagliato come l’India ma niente può giustificare il dramma delle spose bambine. Una sentenza come quella della Corte è probabilmente l’elemento fondamentale da cui partire per innescare un cambiamento sociale, soprattutto se consideriamo che attualmente il 30% delle ragazze si sposa prima di aver compiuto i 18 anni e che circa 12 milioni di bambine sotto i 10 anni risultano già sposate (dati evidenziati dal censimento nazionale).
Facciamo a capirci: la sentenza ha i suoi limiti. Il più evidente è la sua applicazione dal momento che in India non esistono prassi disinvolte che consentano alle ragazze di denunciare gli abusi e le costrizioni imposte. Un altro aspetto non messo in luce dalla sentenza riguarda un aspetto più ampio e si riferisce al fatto che in India un marito che stupri la propria moglie non costituisca alcun reato.
In sostanza, però, è innegabile che un passo in avanti importante sia stato fatto e va da detto che fare leggi in India non è facile neanche la metà di come potrebbe esserlo in Europa. Ma certamente la miccia di un seppur timido cambiamento è stata innescata.