Presentata in anteprima mondiale al Toronto International Film Festival l’8 settembre 2014, la pellicola ha partecipato in concorso alla 9ª edizione del Festival internazionale del film di Roma, dove è stata proiettata il 17 ottobre 2014 e, in seguito, ha fruttato all’attrice Julianne Moore un Oscar e un Golden Globe nel 2015 come migliore attrice protagonista.
In effetti il film drammatico che trattiamo ha un elevato spessore umano oltre che rappresentare uno spaccato di vita di una donna intelligente, singolare, che giorno dopo giorno comincia a perdere le tracce di sé a causa di una forma precoce di Alzheimer ereditario e solo all’età di 50 anni.
Questa malattia “inesorabile” è la forma più comune di demenza degenerativa che colpisce in età presenile (oltre i 65 anni e anche prima) e che si manifesta con la difficoltà nel ricordare eventi recenti. E il primo sintomo della protagonista Alice Howland, moglie, madre, e professoressa di linguistica alla Columbia University di New York, si palesa in una importantissima conferenza, mentre davanti a un pubblico internazionale di studiosi come lei, perde una “parola”.
Ditemi: a chi di noi non è mai capitato di dimenticare una parola, o una cosa detta, o un ricordo! Andiamo nel panico, ci facciamo subito prendere da pensieri negativi, cerchiamo disperatamente nella nostra mente un segno, una traccia, un flashback.
Alice, invece, dopo la conferma della diagnosi anche per il susseguirsi di ulteriori episodi allarmanti, trova il coraggio e la forza di andare avanti nonostante: «Abbia la sensazione che le parole galleggino davanti a me».
I vuoti di memoria, i sensi di smarrimento e il declino incalzante delle sue funzionalità mentali si alternano comunque all’incessante voglia di fare, alla felicità di essere circondata da una famiglia che la ama, le resta vicino, gioisce con lei dei rari momenti luminosi e fugaci, ma soprattutto, impara ad amarla in un altro modo.
Infatti è “Amore…” l’ultima parola bisbigliata alla figlia; perchè la pellicola è pervasa da questo sentimento dall’inizio alla fine in una modalità semplice, vera, essenziale, spesso disarmante ma sicuramente necessaria e priva di retorica.
Amore per la vita, amore per la famiglia, e amore anche per la gente sebbene:« Cambi la percezione che gli altri hanno di noi perchè diventiamo buffi!»
Ho amato questo film, apprezzato il messaggio e il lavoro realizzato dai due registi che: “Hanno guardato il mondo solo attraverso i suoi occhi (di Alice) e, giocando con la messa a fuoco e la profondità di campo, hanno escluso dalla vista e dalla comprensione di ciò che la donna non capisce anche lo spettatore, isolato con lei in una stanza, in un discorso che non si chiude, nel segreto di un flacone di pillole da ingoiare tutte d’un fiato” (da recensione Carola Proto).
Ma c’è un’altra frase che la protagonista recita nel film tratta da una poesia di Elizabeth Bishop e sulla quale dovremmo tutti riflettere: «L’arte di perdere non è difficile da imparare».
(Da L’arte di perdere).
Titolo originale: Still Alice
Anno: 2014
Nazione: Stati Uniti d’America
Regia: Richard Glatzer , Wash Westmoreland
Durata: 99 minuti