La letteratura sale in cattedra e ci interpella. Lo fa attraverso la voce di una delle più grandi scrittrici italiane, Melania Gaia Mazzucco, con “Io sono con te. Storia di Brigitte” (Einaudi, 2016). Certi scrittori hanno un privilegio e una grande responsabilità: raccontare la storia mentre accade e toccare le corde emotive giuste del lettore per evitare che questi volti il capo dall’altra parte. È un’operazione sofisticata e faticosa raccontare bene la realtà: metafore, trame irresistibili, centinaia di giravolte che le parole possono compiere sotto le dita dello scrittore abile. Oppure c’è un’altra strada che il narratore può imboccare, apparentemente più semplice ma in realtà irta di ostacoli per la via, ed è quella di raccontare una storia vera.
Così ha scelto di fare Melania Mazzucco consegnandoci la storia di Brigitte, rifugiata congolese giunta in Italia in modo diverso rispetto alle moltitudini di migranti di cui normalmente le cronache ci raccontano. Sappiamo abbastanza di come essi arrivino nel nostro Paese, quasi nulla sul dopo che è invece la vera sfida e la questione più importante. Non proviamo a domandarci “e se fossi al posto loro?”, trascuriamo persino gli interrogativi più banali. Forse perché viviamo in una nazione più o meno libera, la lingua che parliamo non è un ostacolo e sappiamo che con un euro possiamo comprare un caffè. Brigitte arriva alla stazione Roma Termini senza sapere un accidenti di niente del nostro Paese, a malapena sa collocarlo sulla cartina geografica, non ha la più pallida idea di cosa si possa comprare con una moneta che non ha mai visto, a chi rivolgersi per chiedere aiuto e se un aiuto lo può chiedere. Non ha nulla se non se stessa e un passato orrendo alle spalle, è stata mandata via dal suo Paese dove ha lasciato un marito morto e i suoi figli di cui non ha notizia; la sua non è stata una fuga, per lei all’improvviso è avvenuto un passaggio da un mondo conosciuto a uno alieno. Un Congo dilaniato da corruzione, fame, tirannie che lasciano il posto ad altre tirannie, i nemici di oggi non sono quelli di ieri, sicché «…ci portano via così, di notte, ci fanno sparire, ci buttano nel fiume ancora vivi, chiusi in un sacco, ci cancellano e non esiste nemmeno la nostra morte».
Brigitte non è un’eroina, è una donna con pregi e difetti, alcuni persino insopportabili o incomprensibili, esattamente come ciascuno di noi, con la differenza che lei vaga dalla stazione Termini alle gelide panchine dei parchi romani, sopportando fame e freddo. Una donna forte, determinata, un’infermiera specializzata che scoprirà a sue spese che qui i suoi studi sono carta straccia, parla francese e questa è una piccola fortuna che l’aiuterà a entrare in contatto con il Centro Astalli, il servizio dei gesuiti per i rifugiati in Italia. Qui lavora gente solidale, colta, capace, che ha rinunciato a carriere prestigiose, gente che sa che se non domani forse dopodomani, chiunque potrebbe essere Brigitte, il bel volto di un’Italia umana, ospitale, che esiste, checché se ne dica. In particolare, ad aiutarla sono un avvocato – Francesca – uno psichiatra – che Brigitte chiama dottor Santone – un prete, una psicologa, una suora e una scrittrice. Un concentrato prorompente, consolante, commovente di umanità che più diverso non si può. Così ci troviamo davanti a tre storie in un libro solo: il passato di soprusi toccato a Brigitte, il suo presente, il lavoro di una squadra che si è spontaneamente scelta per darle un’opportunità, lottare contro la diffidenza di una donna troppe volte violata, contro i discutibili ingranaggi della burocrazia italiana, l’omertà congolese, la quasi certezza che perdere Brigitte significhi consegnarla forse alla strada, forse alla malavita, forse alla criminalità, forse alla morte. E, ancora, la consapevolezza che se «alcuni Paesi innalzano barriere di filo spinato, altri preferiscono muri di carta. Le une e gli altri non invertono il corso della storia». E poi Brigitte rivuole i suoi figli, è una madre, che ne è di loro? Sono vivi? E se sì, dove si trovano? Il tanto discusso ricongiungimento familiare, così complicato, così difficile in un’Europa piena di contraddizioni.
Melania Mazzucco fa letteratura e attraverso la letteratura ci interroga, esattamente come tanti altri in passato hanno fatto su questioni urgenti. Sceglie uno stile quasi scarno – per quanto la maestria dell’uso delle parole risulti evidente – e scrive un libro alla portata di tutti. Forse percepisce che il primo compito dello scrittore è parlare a chiunque, rifiuta le parole complicate – i puristi del linguaggio sofisticato leggano pure la sua opera prima, “Il bacio della medusa” per comprendere la caratura dello scrittore di cui stiamo parlando – come rifiuta la retorica. Comprende l’urgenza di parlare a tutti, per cui vadano pure al diavolo i manierismi. Si potrebbero sciorinare qui di seguito milioni ragioni per accettare questo invito alla lettura. Tuttavia c’è una ragione che predomina su tutte le altre e sta nel fatto che questa è un’opera necessaria. Bisognava scriverla, è stato fatto.