2 agosto 1980 – Sono le 10.25 quando alla stazione del capoluogo emiliano un’esplosione manda in frantumi l’edificio, provocando la morte di 85 persone e scrivendo una delle pagine più tristi della storia italiana, quella conosciuta con il nome di Strage di Bologna.
L’esplosivo, di fabbricazione militare, è posto in una valigia, sistemata a circa 50 centimetri d’altezza su di un tavolino portabagagli sotto il muro portante dell’ala ovest; l’onda d’urto, insieme ai detriti provocati dallo scoppio, investe anche il treno Ancona-Chiasso, che al momento si trova in sosta sul primo binario, distruggendo circa 30 metri di pensilina, e il parcheggio dei taxi antistante l’edificio.
In un primo momento il Governo italiano di Cossiga e le forze di polizia attribuiscono lo scoppio a cause fortuite, ossia all’esplosione di una vecchia caldaia. Tuttavia, a seguito dei rilievi svolti e delle testimonianze raccolte sul posto, appare chiara la natura dolosa dell’esplosione e quindi la matrice terrorista. Le indagini, tra mille difficoltà e alcuni depistaggi, si indirizzano nell’ambiente del terrorismo nero.
Ci vogliono quindici anni, però, perché arrivi la sentenza definitiva, che condanna all’’ergastolo gli autori materiali dell’’attentato: Francesca Mambro e Valerio Fioravanti. Ma anche il “maestro” della P2, Licio Gelli, viene condannato a dieci anni per aver depistato le indagini.
Quella della Strage di Bologna, tuttavia, resta una delle pagine più torbide della storia italiana dal momento che ad oggi ancora non sono stati acclarati movente e mandanti dell’atto terroristico.