Terzo settore

I suggerimenti dei commercialisti per i decreti attuativi (seconda parte)

Completiamo oggi la pubblicazione dell’Executive summery del Documento “Osservazioni del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili per la predisposizione dei decreti attuativi della Riforma del Terzo Settore” a cura della Commissione No Profit – Area No Profit (leggi la prima parte).

 

EXECUTIVE SUMMERY (seconda parte)

La rendicontazione finanziaria fornisce solo una visione parziale dell’attività svolta dagli Enp. Molti enti comunicano i “risultati sociali” ottenuti già oggi (rendicontazione non finanziaria). Tuttavia, si ritiene opportuno che gli enti – soprattutto quelli che hanno dimensioni economiche rilevanti debbano evidenziare in modo trasparente l’utilizzo delle risorse con riferimento anche – come giustamente previsto – all’impatto sociale ottenuto per mezzo della gestione. La comparabilità dei risultati tra gli enti, pur tenendo in debita considerazione le peculiarità degli specifici settori, appare doverosa.

In questa prospettiva quindi, risulta certamente ragionevole e vantaggioso lavorare affinché si raggiunga un punto d’incontro “tecnico”, nell’ambito delle previsioni di cui alla legge delega (legge 106/2016, art. 7, co. 3), inerenti alla predisposizione di “linee guida in materia di bilancio sociale e di sistemi di valutazione dell’impatto sociale delle attività svolte dagli enti del Terzo settore” e ai lavori consultivi dell’Organismo del Consiglio nazionale del Terzo settore di cui all’art. 5, co. 1, lett. g). Il CNDCEC si rende disponibile ad approfondire tali aspetti anche in seno al costituendo Consiglio nazionale del Terzo settore.

In sede di attuazione della legge delega, occorrerà prendere in considerazione anche la disciplina delle operazioni straordinarie degli Enp, tematica ampiamente dibattuta da prassi giurisprudenziale e dottrina.

A tale riguardo, è opportuno evidenziare che la Legge non fa cenno alle scissioni (mentre cita espressamente le operazioni di trasformazione e fusione), così come emerge che la legge delega richiama nell’ambito della delega esplicitamente la disciplina del procedimento.

Ci si chiede dunque se sia la disciplina della scissione, sia previsioni di carattere non strettamente procedurale, possano costituire un eccesso di delega ovvero vadano ricondotte alla più ampia previsione contenuta nell’art. 1 comma 2 in cui si parla di “revisione della disciplina del titolo II del libro primo del codice civile” e, per gli enti esercenti in prevalenza l’attività di impresa, la lettera d) dell’art. 3 “prevedere che alle associazioni ed alle fondazioni che esercitano stabilmente attività di impresa si applichino le norme previste dai titoli V e VI del libro quinto del codice civile, in quanto compatibili” essendo le operazioni di trasformazione, fusione e scissione regolate, appunto, nel titolo V del citato libro.

Ciò detto, propendendo per l’ipotesi che la delega possa abbracciare anche tematiche non specificamente richiamate, per quanto riconducibili ai menzionati principi e tematiche di carattere più generale, il testo fornisce alcuni spunti in merito agli aspetti procedurali e tecnici, analizzando elementi riscontrabili da considerare nelle operazioni di trasformazione, fusione e scissione.

Nell’ambito degli interventi proponibili con riferimento alle problematiche fiscali, il contributo focalizza la propria attenzione sui seguenti argomenti: modalità operative di riconoscimento della qualifica fiscale di Onlus da parte delle Direzioni Regionali delle Entrate; regolamento dal punto di vista normativo da norme spesso eterogenee e la difficoltà quindi nell’applicabilità anche dell’attuale normativa fiscale alle singole fattispecie; e, ulteriori proposte.

È opportuno comprendere e definire cosa debba intendersi per attività atte a perseguire di finalità di solidarietà sociale.

Concentrando l’attenzione sul concetto di solidarietà immanente, si fa presente che la dottrina ritiene che il fine solidaristico sia immanente in ragione della particolare natura delle attività poste in essere in quanto per alcune la condizione di svantaggio dei destinatari è presupposto essenziale dell’attività stessa (es. assistenza sociale e beneficenza), mentre altre sono da considerarsi naturalmente produttive di benefici effettivi per la collettività diffusa (es. tutela e valorizzazione del patrimonio artistico e della natura). Al riguardo, appare opportuno che possa esservi un’interpretazione estensiva al fine di non precludere a priori attività di possibile solidarietà sociale meritevole di tutela.

Il CNDCEC ritiene, inoltre, che la riforma possa essere l’occasione – anche nell’ottica della creazione, di fatto, di un comparto riconosciuto di economia sociale – per riconsiderare i concetti di attività connesse e accessorie.

Dal punto di vista degli obblighi fiscali, l’attuale impostazione è fortemente influenzata dalle particolari tipologie di “enti” (Onlus, Associazioni di Promozione Sociale, Associazioni di Volontariato, Associazioni Sportive Dilettantistiche, Enti Associativi, ecc.), dove l’attenzione viene posta sulla commercialità o meno delle attività svolte dall’Ente, che comunque non deve rivestire i caratteri di esclusività e della prevalenza rispetto alle attività di natura istituzionale.

L’attuale impostazione fiscale risulta di difficile applicazione in quanto non vi è in primis una definizione uniforme o una normazione delle possibili aree di intervento di questi enti (attività istituzionale, attività accessoria, attività di raccolta fondi, attività patrimoniale, attività di investimento e così via) e di conseguenza di quali dovrebbero essere gli obblighi contabili da rispettare nel perseguire lo scopo.

Il focus normativo sul riconoscimento della natura non commerciale dell’ente dovrebbe essere spostato dall’attività svolta (oggettivamente commerciale o meno) alla finalità non lucrativa dell’ente (art. 1 e art. 4 lett. e), riconoscendo poi differenti e crescenti livelli di merito di tutela in ragione delle finalità di solidarietà sociale e delle attività di interesse generale perseguite (art. 4 lett. c), oltre che dell’impatto sociale effettivamente realizzato (art. 9, lett. a).

Si ritiene, ancora, che la definizione di regole contabili chiare ed uniformi per i diversi Enti, come precedentemente previsto, tenendo conto comunque delle tipicità di ciascuno e quindi di principi di contabilità e di redazione del rendiconto o bilancio consuntivo, dovrebbe essere il presupposto di base dell’agire del legislatore.

Per tale considerazione, si rende necessario un collegamento tra la determinazione dell’avanzo/disavanzo economico e la misurazione della eventuale base imponibile, laddove siano eseguite attività aventi rilevanza dal punto di vista fiscale.

Infatti, la riqualificazione dell’attività e dei proventi in sede di accertamento con recupero a tassazione degli incassi e l’assoggettamento ad IVA può compromettere le già poche risorse finanziarie disponibili di un ente non commerciale (Enc), per non considerare poi il peso delle sanzioni e degli interessi che l’Amministrazione Finanziaria richiede. Ancora più deleteria se si considera poi che l’effetto della riqualificazione si ha a partire dall’inizio dell’esercizio.

Sono, pertanto, fornite una miscellanea di proposte aggiuntive più puntuali, ritenute utili per giungere alla definizione di un sistema omogeneo e certo di norme per le organizzazioni e per i soggetti esterni. Per l’analisi di tali proposte si rinvia al testo completo. Si ritiene, infatti, che l’occasione di revisione della disciplina rappresenti la situazione adatta per porre in essere una serie di modifiche atte a conferire certezza alle operazioni e, quindi, all’operatività degli enti.

La legge delega porta ad effettuare anche talune considerazioni in merito alla gestione delle situazioni di crisi in cui possono trovarsi gli Enp.

Con l’intenzione di fornire una sistematizzazione del fenomeno anche nell’ambito delle procedure di crisi e di insolvenza e in considerazione di quanto precedentemente sostenuto circa il possibile esercizio di attività commerciale, anche come attività accessoria, sarebbe opportuno che il principio della delega fosse riferito non solo al rinvio alle norme contenute nel codice civile (titoli V e VI), bensì anche, più genericamente, allo statuto dell’imprenditore commerciale.

Laddove l’attività commerciale non fosse marginale e connotata dalla mera accessorietà, gli enti in esame dovrebbero essere assoggettati alle procedure concorsuali tipiche (rectius alle procedure di insolvenza e di crisi), quali concordato preventivo (anche con continuità), fallimento e accordo di ristrutturazione), sempre laddove ricorrano i requisiti previsti dall’art.1 l.f.

Andrebbe, quindi, precisato che nei casi in cui l’attività solidaristica fosse prevalente, gli enti qui considerati potrebbero fruire delle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento di cui alla legge n. 3 del 27 gennaio 2012 e successive modificazioni ed integrazioni.

La riforma del Terzo settore rappresenta l’occasione opportuna per dare impulso anche alla qualifica di impresa sociale, quale elemento di sviluppo per il settore dell’economia sociale che, a differenza di quanto avviene in altri contesti vicini, non ha assunto nel contesto nazionale particolare rilevanza.

Il Consiglio nazionale, anzitutto, evidenzia che occorre definire con maggiore chiarezza il ruolo delle imprese sociali nel Terzo settore. Stante la doverosa prevista connessione tra cooperativa sociale e impresa sociale, appare altrettanto evidente che, per evitare confusioni, commistioni e libertà interpretative sia auspicabile prevedere in maniera puntuale l’impossibilità, per tutti gli enti che acquisiscono la qualifica di Onlus oppure per quelli considerati Onlus “di diritto”, di acquisire altresì la qualifica di impresa sociale (fatta salva la norma di favore prevista anche dalla legge delega per le coop sociali).

Appare, altresì, opportuno definire in maniera puntuale che cosa si intenda, quando si parla di enti associativi, per attività economiche di natura commerciale, artigianale o agricola, svolte in maniera ausiliaria e sussidiaria, raccordando il tutto con la normativa civilistica al fine di evitare le attuali dicotomie foriere di numerosi contenziosi in materia a causa delle attuali lacune interpretative.

In sede di predisposizione dei decreti attuativi risulta appropriato ragionare sui settori previsti per le imprese sociali con una necessaria valutazione rispetto all’inserimento, o ad una maggiore specificazione degli stessi; si pensi ad esempio all’assenza totale dello sport (sebbene in Parlamento vi sia in discussione una ridefinizione dello sport di cittadinanza) oppure potrebbe essere necessaria una migliore definizione delle attività culturali con specifico riferimento ad esempio per le imprese culturali.

Uno dei principali motivi del mancato sviluppo delle imprese sociali è rinvenibile nella mancanza di benefici fiscali. Pertanto si ritiene indifferibile prevedere, esclusivamente per gli enti associativi che decidono di qualificarsi come impresa sociale, un unico regime fiscale di premialità (ad esempio potrebbe essere un buon compromesso quello della previsione di una sostanziale decommercializzazione delle entrate così come già avviene per i proventi derivanti dalle attività istituzionali e da quelle connesse per le Onlus).

Altro volano per il decollo della qualifica di impresa sociale potrebbe essere quello di individuare ulteriori premialità consentendo la possibilità di godere di agevolazioni contributive per i rapporti di lavoro in tutte le imprese sociali siano essi Enti del Titolo I che del Titolo V del codice civile.

Inoltre, potrebbe immaginarsi un percorso preferenziale sia nell’accesso ai diversi strumenti di finanziamento dei beni e servizi offerti che alla partecipazione a bandi, gare e appalti emessi dalla Pubblica Amministrazione, come ad oggi effettuato solo in modo saltuario a livello di normativa locale.

Il CNDCEC ritiene, in ultimo, che anche gli adempimenti costitutivi rappresentino un freno allo sviluppo dell’impresa sociale e quindi l’occasione della legge delega possa consentire la revisione di taluni vincoli eccessivi previsti attualmente dal dlgs 155/06; si pensi tra gli altri all’obbligo del patrimonio minimo di € 20.000 per gli enti che vogliono godere della autonomia patrimoniale all’interno della qualifica di impresa sociale. Da un mero raffronto con le srl ordinarie (per le quali è previsto  un capitale sociale minimo di €10.000 o addirittura per le srl semplificate di € 1) appare, infatti, evidente la sproporzione penalizzante per le imprese sociali associative. In ultimo, si consideri che, al di là delle scelte effettuate a livello regolamentativo, gli enti saranno sottoposti in sede di prima adozione ad una serie di importanti modifiche. Sarebbe, quindi, necessario prevedere un periodo transitorio di passaggio alla nuova disciplina, in maniera tale da rendere possibile agli enti (soprattutto quelli di minori dimensioni) una transizione soft e graduale.

 

 

Published by
Valerio Roberto Cavallucci