Come valutare gli esiti dell’incontro tra i capi di stato e di governo di Germania, Spagna, Francia e Italia e di Niger, Ciad e Libia organizzato la scorsa settimana a Parigi? Alcuni hanno parlato di novità rilevanti, altri hanno espresso perplessità.
Affidiamoci, per una volta, a chi conosce non solo l’emergenza Mediterraneo ma l’intero flusso migratorio che dai Paesi subsahariani si muove in mille direzioni. Proponiamo, quindi, il testo integrale del documento elaborato dall’AOI (Associazione delle organizzazioni italiane di cooperazione e solidarietà internazionale) e da CONCORD Italia (Network delle ONG in Europa per lo sviluppo e l’emergenza), Enti che rappresentano davvero l’intero panorama delle ong italiane e non solo. La lunghezza del testo consiglia la pubblicazione in due parti, la prima in allegato e la seconda venerdì 8 settembre.
Un pressante invito ai lettori a dedicare qualche minuto della loro attenzione a questo documento: si comprenderanno molte cose che interpretazioni strumentali celano e informazioni affrettate dimenticano.
Dopo Parigi: come riformulare il piano per la gestione dei flussi migratori dall’Africa (I parte)
A Parigi forse per la prima volta che il governo Italiano ha ricevuto un apprezzamento e un appoggio così forte dai paesi europei più importanti sulla gestione dei flussi migratori dall’Africa. Nella dichiarazione comune del summit di Parigi di lunedì scorso, si riconosce la bontà dell’approccio italiano nel porre sotto controllo e fermare i flussi migratori nei paesi di transito. In questo modo si replica l’accordo con la Turchia nel tenere là i migranti, cercando di farli tornare nei loro paesi di origine. Esternalizzando e delegando i governi dei paesi africani a gestire le migrazioni, erigendo frontiere. Il tutto bilanciato con un impegno umanitario per il rispetto dei diritti umani, in centri di protezione, salvando i migranti non solo sul mare ma anche nel deserto del Sahara, puntando, almeno nelle intenzioni, ad una maggiore cooperazione economica e allo sviluppo per le comunità locali.
I CONTENUTI DELLA DICHIARAZIONE DI PARIGI
Secondo la dichiarazione del summit occorre innanzitutto rafforzare i governi centrali locali, in Niger e Ciad, oltre che naturalmente in Libia. Stabilizzare e costruire Stati capaci di controllare i territori dove transitano i migranti, la sicurezza delle frontiere, di esercitare la giustizia nel contrastare il traffico di esseri umani. Appoggiandoli con le missioni militari dell’Unione europea. In secondo luogo favorire i ritorni dei migranti economici nei paesi di origine, creando centri di protezione e gestione dei flussi lungo le rotte migratorie, salvando le vite nel deserto. In terzo luogo finanziare uno sviluppo economico locale alternativo alle entrate derivanti dai traffici irregolari. Infine, sostenere alcuni reinsediamenti dei migranti più vulnerabili e che meritano la protezione in Europa. Senza specificare numeri, lasciando la responsabilità ai singoli paesi europei.
Nel caso della Libia si riconosce innanzitutto la necessità della sua stabilizzazione politica; nonostante questa non esista, si appoggiano le iniziative del governo italiano di sostenere le economie di 14 comunità locali, per rafforzare i confini al sud, con un progetto finanziato dall’UE, anche grazie all’accordo di pace raggiunto con le tribù nomadi locali. Sono inoltre previste altre misure che andranno realizzate per migliorare le condizioni di vita e la protezione nei centri di accoglienza (oggi di detenzione gestiti di fatto dalle varie milizie locali), favorendo ritorni e reinsediamenti con le agenzie ONU (OIM e UNHCR). Infine non si dimentica il rafforzamento della guardia costiera libica.
L’approccio italiano è adottato anche con riferimento alle cose da fare nel mare e da parte dell’Unione Europea: si appoggia il codice di condotta per le ONG per una maggiore efficacia e coordinamento dei soccorsi, si promettono più ricollocazioni, più assistenza da Frontex ed Easo, di allargare la cooperazione con Algeria, Marocco e Mauritania. Soprattutto si sostiene la creazione di un nuovo sistema europeo comune per l’asilo con un migliore equilibrio tra responsabilità e solidarietà tra i paesi membri. Si prefigura quindi il superamento del regolamento di Dublino che finora ha visto solo l’Italia e la Grecia impegnate nell’accoglienza, in quanto paesi di primo arrivo.
Si stabilisce infine la creazione di una task force per agire insieme tra Italia, Germania, Spagna, Francia e Alto Rappresentante dell’Unione europea per gli Affari Esteri e la politica di sicurezza con il Commissario europeo per le migrazioni.
CRITICITA’ DEL PIANO
Insomma si tratta di un vero e proprio piano per la gestione dei flussi migratori che però, oltre ad alcuni aspetti positivi laddove si sottolinea l’impegno per la protezione e i diritti umani e per un sistema europeo d’asilo, desta molte perplessità e critiche che evidenziamo di seguito:
Innanzitutto è un piano focalizzato sulla gestione delle migrazioni nel breve periodo che lascia in secondo piano le cause profonde e le questioni dello sviluppo sostenibile (nonostante il documento le citi quando all’inizio della dichiarazione si enunciano i principi e le azioni per i paesi di origine) e dei processi di pace. È quindi un piano monco e strabico, visto che l’urgenza prioritaria è quella di fermare i flussi migratori verso l’Europa.
La politica estera italiana ed europea è così dettata dalla politica migratoria per interessi interni europei. Nel piano la complessità viene ridotta a una variabile: fermare le migrazioni in Africa; quando esse sono sintomo e non causa. Tutti gli strumenti (diplomazia, cooperazione e sicurezza) sono mirati al controllo e alla gestione dei flussi, cioè in funzione di un solo obiettivo da raggiungere nel più breve tempo possibile, pena la sicurezza e la tenuta democratica europea. Ne siamo sicuri? Con quali conseguenze per le fragili democrazie africane? Per la pacificazione della Libia? Per i diritti dei migranti? Non è che con queste misure di breve periodo stiamo creando le condizioni per situazioni peggiori nel prossimo futuro? Con ricadute negative per la stessa Europa? Ma dov’ è la politica estera e di cooperazione? Dov’è concretamente il tanto declamato piano per l’Africa?
In secondo luogo il Piano sostiene il rafforzamento di governi africani nella gestione dei flussi e per la sicurezza delle frontiere. Ma non del loro Stato di diritto. Il rispetto dei diritti umani viene citato più volte, ma è sempre strumentale e come appendice alla gestione dei flussi. L’appoggio alle democrazie locali, al bilanciamento dei poteri, ad una società civile organizzata e vigile per il rispetto dei diritti umani è fondamentale ma non viene mai nemmeno menzionato. Al contrario questa è una condizione essenziale per una vera stabilizzazione di tutti i paesi dell’area.
Sembra che (e la vicenda del codice di condotta lo dimostra) la società civile organizzata e le ONG siano utili solo se funzionali alla politica dei governi, svilendo il loro ruolo autonomo di “sale della democrazia”, di critica e verifica per politiche più mirate alla salvaguardia dei diritti umani.
In fin dei conti il piano del summit sostiene un approccio prevalentemente repressivo (controllo e sicurezza) relativamente bilanciato e in modo vago, con misure umanitarie, ma solo per i più vulnerabili (secondo quali criteri?). Se da una parte vengono descritte con una certa precisione le iniziative da mettere in campo in termini di controllo delle frontiere, dall’altro, riguardo alle misure umanitarie, rimane molto indeterminato: non è ancora chiaro quali sono le capacità, le strutture, gli attori da coinvolgere, i fondi per garantire il rispetto dei diritti umani, il rispetto della garanzia di richiedere asilo e la protezione internazionale, e di evitare casi di respingimento.
È un documento che parla poco di sviluppo e di costruzione di stati di diritto: le vere cause profonde delle migrazione, assieme alla povertà e alla disuguaglianza! In tutto il testo lo sviluppo sostenibile è richiamato genericamente solo quattro volte, e solo in relazione allo sviluppo delle comunità locali in modo da produrre fonti di reddito alternative al traffico umano.
In terzo luogo la politica migratoria è focalizzata solo sul controllo e una pur necessaria ma ipotetica protezione. Una politica questa tutta da costruire nel caso dei centri di detenzione in Libia e con governi africani che non hanno mai firmato le convenzioni internazionali che regolano la protezione internazionale e l’asilo, il ritorno e i reinsediamenti. Pochissimo è scritto per una gestione dei flussi in termini positivi. Tutto viene ridotto a una grossolana divisione tra migrazioni economiche e migrazioni dei richiedenti asilo, quando il problema africano, evidenziato da diversi studi, è che questa distinzione tiene sempre meno. Le migrazioni per sopravvivenza, per cause ambientali, per insicurezza umana come possono essere classificate?