Oggi è il 20 marzo, Giornata Internazionale della Felicità. L’Assemblea generale dell’ONU “consapevole che la ricerca della felicità è uno scopo fondamentale dell’umanità, […] riconoscendo inoltre un approccio più inclusivo, equo ed equilibrato alla crescita economica che promuova lo sviluppo sostenibile, l’eradicazione della povertà, la felicità e il benessere di tutte le persone” invita a celebrare questa ricorrenza “in maniera appropriata, anche attraverso attività educative di crescita della consapevolezza pubblica”.
Una buona occasione, quindi, per fare il punto della situazione. Felicità individuale o felicità pubblica? Naturalmente, felicità pubblica. La prima, sempre auspicabile, è assolutamente correlata alla condizione dei singoli. E poi, come ricordavamo qualche tempo addietro, “nella società dei consumi, diventa inevitabile accostare la felicità (individuale) al successo, alla soddisfazione di ogni desiderio, alla più ampia disponibilità di risorse”.
Qual è, invece, la condizione della felicità “collettiva”? Prova a spiegarlo il World Happiness Report 2018. La Finlandia è in cima alla lista dei Paesi più felici al mondo, seguita nell’ordine da Norvegia, Danimarca, Islanda, Svizzera, Paesi Bassi, Canada, Nuova Zelanda, Svezia e Australia.
Il rapporto redatto dall’ONU classifica 156 Paesi su sei variabili che forniscono un indicatore del benessere della popolazione: reddito, libertà, fiducia, aspettativa di vita, assistenza sociale e generosità. “Quattro di questi Paesi, Danimarca, Svizzera, Norvegia e ora Finlandia, hanno raggiunto la prima posizione in una delle sei edizioni fatte da quando è stato pubblicato il primo rapporto”, ha affermato John Helliwell, professore emerito di economia presso l’Università della British Columbia. Inoltre “i primi cinque Paesi hanno tutti valori quasi uguali nei sei fattori indicativi della felicità”.
Quest’anno il World Happiness Report, oltre alla felicità dei cittadini, ha preso in considerazione anche lo stato di soddisfazione degli immigrati. Ebbene, i 10 Paesi più felici occupano praticamente le stesse posizioni nella scala di soddisfazione dei migranti. “Sebbene gli immigrati provengano da Paesi con livelli di felicità molto diversi, le loro valutazioni sulla vita riportate convergono con quelle degli altri residenti nei loro nuovi Paesi”, ha dichiarato Helliwell.
E l’Italia? Il Rapporto ONU ci colloca al 47esimo posto, con un lievissimo miglioramento rispetto all’anno precedente nel quale eravamo quarattottesimi.
Mala tempora currunt. Del resto, al di là delle inevitabili semplificazioni di una classifica internazionale, basta ricordare quanto sostenuto dal Rapporto Censis 2017: “siamo un Paese invecchiato che fatica ad affacciarsi sullo stesso mare di un continente di giovani; impotente di fronte a cambiamenti climatici e a eventi catastrofici che chiedono grandi risorse e grande impegno collettivo; ferito dai crolli di scuole, ponti, abitazioni a causa di una scarsa cultura della manutenzione; incerto sulla concreta possibilità di offrire pari opportunità al lavoro e all’imprenditoria femminile, immigrata, nelle aree a minore sviluppo; ambiguo nel dilagare di nuove tecnologie che spazzano via lavoro e redditi; incapace di vedere nel Mezzogiorno una riserva di ricchezza preziosa per tutti”.
D’altra parte, basta l’esperienza quotidiana a confermare l’estrema difficoltà di questa fase. Pensiamo, per un attimo, all’infinita teoria di atti di bullismo e di violenza nelle nostre scuole o all’ininterrotta serie di femminicidi. Si tratta di alert precisi: le persone non condividono più progetti e valori e neppure le strutture tradizionalmente più solide, quali la famiglia e la scuola, riescono ad assolvere una funzione di riferimento.
Non va di certo meglio nella società civile. La lunghissima crisi, la crescita esponenziale delle diseguaglianze, l’estensione dell’area della povertà, la sistematica precarizzazione del lavoro hanno diffuso incertezza e paura del futuro. Per non parlare dell’intolleranza verso gli immigrati e di qualche primo tragico segnale di xenofobia.
D’altra parte neppure le Istituzioni e la politica rassicurano gli italiani. Prima l’incoscienza di chi ha negato per anni l’esistenza della crisi; poi lo shock delle politiche di austerity con gli inevitabili costi sociali; a seguire un annunciato rinnovamento troppo presto trasformatosi in tradizionale gestione del potere; oggi l’assoluta incertezza sulle prospettive di governo. Il Paese è spaccato in due, con la protesta meridionale monopolizzata dei 5 Stelle e lo strano connubio tra ripresa economica e richiesta di sicurezza magistralmente interpretato dalla Lega. In estrema difficoltà il PD che interpreta una cultura moderata di governo ormai molto lontana dall’elettorato cui vorrebbe rivolgersi.
Appena un po’ meglio la condizione della Chiesa. Papa Francesco propone con forza e nettezza il messaggio del Vangelo e trova attento ascolto in parte del suo popolo e nell’opinione pubblica. Grandi, però, le resistenza nella Curia e nell’area della conservazione.
Che succede? Manca in primo luogo un’analisi attenta di quello che è avvenuto. Un presunto pragmatismo nega tempo e attenzione al pensiero e alla riflessione. Mancano visioni del futuro e progetti condivisi. Senza questi elementi è difficile parlare di “felicità collettiva”.
Naturalmente non mancano, anzi si moltiplicano, esperienze positive, testimonianza di solidarietà e di coesione, iniziative piene di speranza e di futuro e noi di Felicità Pubblica cerchiamo di raccontarle ogni giorno. Ma il contesto, tutt’intorno, rischia di marginalizzare questa ricchezza.
Cosa fare? In primo luogo non ripiegare sulla dimensione individuale della felicità. In secondo luogo insistere nella ricerca caparbia del bene comune, dell’interesse collettivo. In terzo luogo costruire ovunque possibile comunità, gruppi di donne e uomini che stanno insieme e, consapevolmente, realizzano progetti comuni. E, infine, non abbandonarsi mai alla rassegnazione o al rancore. In questo modo, forse, la fine del tunnel potrà avvicinarsi e i semi di felicità pubblica, finalmente, sbocciare in campo aperto.