Il quadro legislativo in Italia, in attesa di una organica riforma del Terzo Settore
Nel diritto italiano, il dibattito dottrinale in materia di Terzo Settore si è tradizionalmente concentrato sulla corretta definizione dell’ente non profit. Rispetto al tradizionale concetto di assenza di fini di lucro, in uso già da tempo per alcune persone giuridiche come le società cooperative o le associazioni, la locuzione sottintende che l’organizzazione abbia finalità marcatamente solidaristiche, che non vi sia distribuzione di utili ai soci, che anzi qualsiasi utilità prodotta (anche nella forma di beni o servizi) sia destinata esclusivamente in favore di terzi, e che non svolga attività commerciali se non limitatamente ad azioni meramente strumentali al conseguimento degli scopi sociali.
La legislazione italiana ha finora disciplinato numerosi aspetti del Terzo Settore, senza però organizzarli in un unicum dal punto di vista giuridico. Per questa ragione, accogliendo le sollecitazioni provenienti da più parti all’interno e all’esterno del settore, il Governo Renzi, attualmente in carica, ha avviato nel maggio 2014 l’iter legislativo per una risistemazione della disciplina del Terzo Settore, in una proposta di “Riforma del Terzo settore, dell’impresa sociale e per la disciplina del Servizio civile universale”, che si preannuncia di portata significativa e non priva di qualche polemica. I contenuti della Riforma, che in data odierna non è ancora addivenuta a una formulazione definitiva e, anzi, dopo essere passata alla Camera si sta insabbiando al Senato a causa dello slittamento del termine per la presentazione degli emendamenti, sarà oggetto di riflessioni approfondite all’interno di questa rubrica nel corso dei prossimi mesi, e pertanto non è affrontata in questo contributo introduttivo.
Per quanto interessa in questa sede, è opportuno sottolineare il fatto che nella normativa oggi esistente, a dispetto delle molteplici definizioni di “non profit” elaborate nei diversi ambiti disciplinari nel corso degli anni, è identificabile un nucleo di caratteristiche comuni delle organizzazioni del Terzo Settore, che ne definiscono le peculiarità, distinguendole da altri soggetti:
- l’assenza di distribuzione dei profitti;
- la natura giuridica privata (sebbene alcune organizzazioni, come le IPAB, abbiano ancora un forte controllo pubblico);
- l’atto di costituzione formale oggetto di un contratto formalizzato o di un accordo esplicito fra gli aderenti;
- l’autogoverno;
- l’avvalersi per il raggiungimento dei propri scopi statutari di una quota rilevante di lavoro volontario (libero e non retribuito);
- la democraticità, ossia l’elezione delle cariche e la partecipazione effettiva degli aderenti alle decisioni dell’organizzazione.
Tipologie di organizzazioni non profit
Alla luce delle difficoltà di definizione cui si è più volte accennato e della rapidità con cui il mondo del Terzo Settore si evolve continuamente, la normativa attualmente in vigore risulta sovente non esaustiva di tutte le possibili configurazioni organizzative che avrebbero titolo a essere definite come non profit, stante la vastità della gamma dei loro possibili obiettivi nonché delle loro modalità operative.
In linea di principio, tuttavia, è possibile affermare che rientrano propriamente nella categoria “non profit” sia le organizzazioni cui sia applicabile la disciplina delle Organizzazioni Non Lucrative di Utilità Sociale (ONLUS), sia le organizzazioni che, sebbene si trovino ancora in una fase di pianificazione o in corso di formazione o di consolidamento, potrebbero, una volta a regime, presentare caratteristiche affini.
Nel vasto panorama degli enti che popolano il mondo del non profit è possibile tracciare alcune classificazioni in base alla struttura delle organizzazioni stesse, identificando alcune tipologie principali, ciascuna con un proprio status giuridico riconosciuto in leggi specifiche. In particolare, fino ad ora la legislazione italiana ha disciplinato cinque differenti tipi di organizzazioni private che operano senza fini di lucro con finalità solidaristiche: le organizzazioni non governative (L.49/1987), le organizzazioni di volontariato (L.266/1991), le cooperative sociali (L.381/1991), le Fondazioni (L.461/1998) e le associazioni di promozione sociale (L.383/2000).
Senza approfondire in questa sede i dettagli, esaminiamo ora a volo d’uccello le caratteristiche principali delle diverse organizzazioni menzionate.
Organizzazioni di volontariato (OdV)
Secondo gli Artt. 2 e3 della legge n. 266 dell’11 agosto 1991 per “organizzazione di volontariato” si intende “ogni organismo liberamente costituito” che si avvale dell’attività di volontariato che “deve intendersi quella prestata in modo personale, spontaneo e gratuito, tramite l’organizzazione di cui il volontario fa parte, senza fini di lucro anche indiretto ed esclusivamente per fini di solidarietà”. Il volontariato affonda le radici in una tradizione plurisecolare, che alcuni fanno risalire al medioevo e altri all’800, con caratteristiche organizzative che si standardizzano attorno a un modello comune a partire dagli anni settanta, ma con uno sviluppo notevole tra l’ultimo decennio del XX secolo e l’inizio del nuovo millennio. Accanto a un sensibile aumento del numero di organizzazioni di volontariato, negli ultimi anni si è assistito anche a una notevole crescita delle organizzazioni stesse in senso qualitativo. Accanto ai servizi di più classica valenza assistenziale, le organizzazioni di volontariato oggi implementano pratiche innovative di sussidiarietà, con l’obiettivo non solo di contribuire a curare i sintomi delle problematiche di emarginazione e disagio sociale, ma anche di eliminarne le cause in un rapporto di mutua collaborazione con i servizi pubblici e altri organismi privati.
Associazioni di Promozione Sociale (APS)
Si definiscono APS le organizzazioni composte da individui che si associano per perseguire un fine comune di natura non commerciale. La loro valenza “sociale” le differenzia sensibilmente dalle associazioni che, invece, hanno come finalità la tutela esclusiva di interessi economici dei membri (come ad esempio le associazioni sindacali, di partito o di categoria).
Le caratteristiche e il ruolo svolto dalle associazioni di promozione sociale sono molto simili a quelle delle organizzazioni di volontariato, con le differenze principali nella possibilità di remunerare i propri soci (che è invece esplicitamente vietata dalla L.266/91 sul volontariato) e nella valenza mutualistica dei servizi, anche se è indubbio che oggi le associazioni non si limitino solamente alla mera soddisfazione degli interessi e dei bisogni degli associati, ma abbiano sviluppato una forte apertura al sociale operando promozioni della partecipazione e della cittadinanza attiva.
Cooperative sociali
In Italia sono presenti oltre 5.000 “cooperative sociali” che, secondo la definizione data dall’Art. 1 della L.381 dell’8 novembre del 1991, sono “cooperative aventi come scopo il perseguimento generale della comunità alla promozione umana e all’integrazione sociale dei cittadini”.
Esistono quattro tipologie di cooperative:
- le cooperative di tipo A, che svolgono attività finalizzate all’offerta di servizi socio-sanitari ed educativi;
- le cooperative di tipo B, che forniscono attività di inserimento lavorativo di persone svantaggiate;
- le cooperative di tipo misto, che svolgono attività tipiche delle cooperative sia di tipo A che di tipo B;
- i consorzi sociali, ossia società cooperative aventi la base sociale formata in misura non inferiore al settanta per cento da cooperative sociali.
All’origine di questa forma organizzativa vi è la convinzione che l’attività solidaristica si possa realizzare anche attraverso la forma di un’impresa economica, coniugando interesse privato e interesse generale.
Fondazioni di diritto civile e di origine bancaria
Le fondazioni, attualmente disciplinate dalla L.461/1998, sono enti senza fini di lucro con una propria sorgente di reddito che viene impiegata per scopi di utilità sociale. A differenza delle associazioni, le fondazioni non trovano il loro fondamento nei soci e nelle attività da loro svolte, ma piuttosto nella possibilità di beneficiare di un patrimonio (che per legge deve essere non inferiore ai 100.000 euro) che dà loro un’ampia capacità finanziatrice. Le fondazioni distribuiscono le proprie risorse ad altri soggetti ritenuti meritevoli di supporto, secondo alcuni criteri strategici nella valutazione dei progetti da finanziare. In particolare, le aree in cui le fondazioni operano maggiormente sono l’istruzione, l’arte e la cultura, la sanità, l’assistenza sociale e la ricerca. Le fondazioni svolgono spesso anche una funzione attrattiva di nuove risorse, di lasciti, di donazioni di privati e imprese.
Organizzazioni non governative (ONG)
In seno alla categoria delle organizzazioni non profit rientrano anche quelle entità che, in ragione di particolari principi ispiratori o di particolari condizioni del contesto nel quale operano, costituiscono soggetti di rilevanza politica, e particolarmente di politica estera, che vengono definite come “Organizzazioni Non Governative” a significare che il loro operato, sebbene di elevato interesse pubblico (generalmente anche a livello internazionale), è autonomo da quello del Governo dello Stato di appartenenza.
In Italia le prime ONG operanti nel settore della cooperazione internazionale sono nate intorno agli anni settanta e svolgevano un’attività di sostegno del mondo missionario nei paesi in via di sviluppo. Oggi le organizzazioni non governative sono espressioni organizzate della società civile di ispirazione anche laica, impegnate sul più ampio fronte della cooperazione, intessendo rapporti con le istituzioni nazionali, europee e internazionali e contribuendo all’elaborazione di strategie per lo sviluppo.
Dato l’elevato grado di frammentarietà che caratterizza il settore delle ONG italiane, dovuto per larga parte alla ridotta dimensione della maggior parte delle organizzazioni, sono nati nel corso degli anni alcuni organismi di coordinamento o federazioni di ONG. I principali sono:
- FOCSIV – Federazione Organismi Cristiani Servizio Internazionale Volontari;
- COCIS – Coordinamento delle Organizzazioni non Governative per la Cooperazione Internazionale allo Sviluppo;
- CIPSI – Coordinamento di Iniziative Popolari di Solidarietà Internazionale.
La loro attività nell’ambito della cooperazione dell’Italia con i Paesi in via di sviluppo è disciplinata dalla Legge 26 febbraio 1987, n. 49 (la cui riforma è in discussione da molti anni) che prevede la concessione di un riconoscimento di idoneità da parte del ministero degli Affari Esteri. Tale riconoscimento consente alle ONG di accedere al finanziamento governativo per la realizzazione di progetti di cooperazione, affidati dal Ministero degli Affari Esteri o promossi dalle stesse organizzazioni, e di altre attività previste dalla legge.
In generale le ONG non differiscono in maniera sostanziale da altre forme organizzative non-profit, quali le associazioni di volontariato o di promozione sociale, ma tendenzialmente svolgono attività specialistiche nel settore della cooperazione internazionale e dell’educazione allo sviluppo, attraverso:
- progetti di cooperazione a breve, medio o lungo termine, in contesti di emergenza o di ordinario sottosviluppo, con l’invio di personale diversamente inquadrato secondo la qualifica e l’esperienza professionale, inclusi volontari;
- attività di sostegno tecnico-economico di partner locali nei Paesi in via di sviluppo, cofinanziando la realizzazione di microprogetti gestiti da referenti locali senza invio di personale straniero e volontari;
- attività di studio, ricerca e formazione di personale;
- attività di informazione ed educazione sui temi dello sviluppo, della cooperazione internazionale e della mondialità, rivolte alle scuole o ad altri segmenti di popolazione.
Le ONG, indipendentemente dal riconoscimento di idoneità del Ministero degli Affari esteri italiano, possono accedere ai finanziamenti dell’Unione Europea previsti per i progetti nei Paesi in via di sviluppo o in Europa, che rientrano nei programmi europei di cooperazione.
Impresa sociale
A partire dagli anni ottanta si sono sviluppate forme imprenditoriali pensate per perseguire finalità sociali operando all’interno del mercato concorrenziale. La forma giuridica che risponde a queste esigenze è la cosiddetta impresa sociale, che comprende tutte quelle imprese private, incluse le cooperative, in cui l’attività economica principale è stabile e continuativa nel tempo e ha per oggetto la produzione e lo scambio di beni e servizi di utilità sociale e di interesse generale.
Tale struttura organizzativa distingue quindi il concetto di imprenditoria da quello di finalità lucrativa, mettendo in luce l’esistenza di imprese con finalità sociali in cui il profitto non è escluso ma è da considerarsi uno strumento per il raggiungimento degli scopi. Le differenze principali rispetto alle imprese tradizionali risiedono sostanzialmente nella produzione di beni e servizi ad alto contenuto relazionale, nella capacità di “fare rete” con altre realtà del terzo settore, nella produzione di esternalità positive per la comunità. Caratteristiche dell’impresa sociale sono, inoltre, la promozione dello sviluppo locale, la garanzia di democraticità dell’organizzazione e di un coinvolgimento diretto dei lavoratori nella gestione, l’adozione di valori quali la giustizia sociale, le pari opportunità e la riduzione delle diseguaglianze.
La disciplina di questi enti è contenuta nella L.118/2005 ed è stata resa organica e ampliata tramite il D.L.155/2006. L’impresa sociale può operare nei seguenti ambiti di attività:
- assistenza sociale;
- assistenza sanitaria e socio sanitaria;
- educazione;
- istruzione;
- tutela ambientale;
- tutela dei beni culturali;
- formazione universitaria;
- formazione extrascolastica;
- turismo sociale.